Musica Nuove Uscite

Sun Kil Moon – Common As Light And Love Are Red Valleys of Blood

Carmen Navarra

L’indole smargiassa, turbata, livida e arrabbiata di Mark Kozelek è la base su cui poggia “Common As Light And Love Are Red Valleys of Blood”, l’ottavo progetto di Sun Kil Moon, che, probabilmente, non avrebbe avuto la stessa veemenza senza l’irrequietezza del suo leader.

Si tratta di un doppio album, caratterizzato da 16 tracce, alcune delle quali arrivano a toccare la lunghezza di 10 minuti.

Il “motore centrale” di questo lavoro così imponente è l’indignazione (per dirla alla Philip Roth, statunitense come Kozelek) contro una società politicamente scorretta che semina “sangue” alla stessa stregua delle “red valleys” menzionate nel titolo. L’acredine è immediatamente palpabile nella traccia d’apertura, God Bless Ohio, un viaggio nella terra d’origine di Kozelek, l’Ohio, appunto, luogo di ricordi (past the old steel mill/I think about my grandpa  […], the beautiful children of my sister/Domino’s pizza//superato il vecchio mulino d’acciaio, penso a mio nonno […], ai bei figli di mia sorella, alla pizza di Domino) e di atrocità legate ai recenti fatti di cronaca (young girls held as slaves in a basement by a guy//giovani ragazze tenute come schiave in un seminterrato da un ragazzo). In Philadelphia Cop, che ha un piglio elettro-rap, Kozelek inveisce contro i social per il loro potere di “trasformarti in uno zombie”, cantando a più riprese nel ritornello “non sono il burattino di nessuno”. “Hate is at its peak on this crazy fucking plane”(L’odio è al suo apice in questo mondo pazzo e fottuto) è il messaggio di Bastille Day, la più accattivante dell’album per sonorità (aggressive e folktroniche) e tematiche (gli attacchi terroristici di Nizza). La “schizofrenia” di raccontare ciò che è pubblico, è intervallata da momenti più intimi e personali, come accade in Butch Lullaby, “ninna nanna” dedicata a Butch, suo amico d’infanzia morto prematuramente; qui, più che altrove, le parole, desiderose di fuoriuscire, incespicano le une nelle altre, creando un effetto sonoro straniante (alternanza tra cantato e parlato); inaspettatamente si fa anche portavoce di un desiderio di leggerezza (Chili Lemon Peanuts), che presenta un ritmo ugualmente ossessivo e impertinente (preminenza di bassi e synth), ma le parole paventano una sorta di – estemporaneo – autocompiacimento (I’m living my dream/for the first moment I ever picked up guitar, I knew  my life would go a different road than the kid next door//sto vivendo il mio sogno/sin dal primo momento in cui ho suonato la chitarra, ho saputo che la mia vita avrebbe preso una piega differente dal bambino accanto), brutalmente interrotto dalla lettura di un passo della Bibbia.

Nella parte finale, la voce “black” e le svisate molto rock ‘n’ roll convergono in direzione della luce e dell’amore menzionati nel titolo; la prima è già stata scelta come layout della copertina (viene infatti ritratto un grattacielo che scintilla contro i raggi solari); nasce così Seventies TV Show theme Song, che capitalizza la supremazia della musica (maybe you’ll hear this song when the sun is up/maybe you’ll hear it when you’re down in the dumps/maybe you’ll hear on a Spotify stream//forse ascolterai questa canzone quando il cielo è alto/forse la ascolterai quando sei in discesa/forse la ascolterai sulla scia di Spotify). L’amore è invece cantato in I Love You Forever and Beyond Eternity, in cui con voce a tratti strascicata, a tratti decisa, ringrazia Caroline per il sostegno e la presenza costanti e per avergli donato la libertà di essere se stesso.

Restano, tuttavia, poco convincenti non tanto i pezzi presi singolarmente (per quanto la loro lunghezza risulti a tratti poco digeribile e tediosa), quanto la confusione che generano: sono tutti slegati gli uni dagli altri, non c’è continuità, ma si legge il desiderio di Kozelek di ammantare l’artificio, comprimendo le storie (la formula rap, le parole che si accavallano), dando l’immagine di un quadro che ha degli schizzi interessanti ma poco curati. Più qualità, meno quantità? Sarebbe stato preferibile e forse i fan, dopo il capolavoro di Benji (2014), lo avrebbero gradito.



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