Spoiler Alert. Da Trinità a Jeeg Robot, il supereroe all’italiana
Con l’uscita del cinecomic di Gabriele Mainetti con Claudio Santamaria e Luca Marinelli guardiamo al futuro e al passato per individuare la genesi del supereroe all’italiana.
Una delle scene più iconiche della storia del cinema italiano vede Terence Hill nei panni del pistolero Trinità presentarsi allo spettatore mentre mangia una padella intera di fagioli, si scola una bottiglia di vino da una tazza che sembra non riempirsi mai e s’ingozza con un’enorme forma di pane. Rutto finale, d’obbligo, sotto gli occhi di un paio di cacciatori di taglie sconcertati dall’incredibile appetito del cowboy. Lo chiamavano Trinità … oggi ritorna alla memoria, a una settimana dall’uscita di uno degli ormai rari film di genere italiani, Lo chiamavano Jeeg Robot, lo spettacolare esordio alla regia di Gabriele Mainetti e con protagonisti Claudio Santamaria, Luca Marinelli e Ilenia Pastorelli.
Sì perché ormai il mondo ha la mania del “primo supereroe”. Ci sono nazioni che possono contare il proprio da anni, se non da decenni – cos’altro sono se non supereroi alcuni protagonisti degli anime giapponesi? – e Mainetti e la sua Goon Films sembra abbiano voluto poggiare un piede nel futuro, dove issano la bandiera di conquistatori, e uno nel passato, omaggiando quello che per tanti spettatori, grandi e piccoli, è stato un vero supereroe da fumetto. Gli effetti sonori che hanno accompagnato la carriera di Hill e Bud Spencer (Bimbo ne Lo chiamavano Trinità) hanno sempre richiamato ai Sock! E Whack! del Batman televisivo con Adam West – ora più famoso per gif e meme che altro.
Il successo principale di Mainetti è stato proprio quello di costruire il personaggio di Enzo Ceccotti, lo scippatore di Tor Bella Monaca diventato indistruttibile con l’esposizione a delle scorie radioattive nascoste nel Tevere, e il suo universo basandosi sulla storia d’Italia e di tutto ciò che ha caratterizzato la vita mediatica dei suoi cittadini. Terence Hill è stato uno dei più importanti attori di un’intera generazione insieme al campione olimpico Carlo Pedersoli e per molti, c’è da ammetterlo, sono stati visti come degli eroi da fumetto, da striscia comica con tanta azione e un cuore enorme.
E quel Lo chiamavano, quasi fosse la dichiarazione di un passante testimone d’una scena eroica, è diventata un po’ la versione italiana del celebre Amazing che accompagna Spider Man. Lo adottò anche Bud Spencer per il suo Lo chiamavano Bulldozer e seguì il sequel di Trinità in Continuavano a chiamarlo Trinità, ma questo aspetto resta un omaggio e l’eroe di Terence Hill, ripreso nella fame chimica di yogurt di Ceccotti e nel suo essere un po’ rozzo, non può accaparrarsi il prefisso super-, pur avendo una sovrumana velocità nell’estrarre le pistole (come il Nessuno d’un altro suo celeberrimo personaggio), mancano precisi poteri identificabili, e rimane “solo” l’archetipo del supereroismo all’italiana.
In un certo senso potremmo dire che Mainetti ha saputo vedere in quali angoli e pieghe del cinema nostrano si nascondevano i presupposti per dare anche al cinecomic la possibilità di esser definito all’italiana come la cara vecchia commedia per cui siamo (ri)conosciuti in tutto il mondo. L’esatto opposto di Gabriele Salvatores con Il ragazzo invisibile rifugiatosi in un esperimento sovietico per i suoi “mutanti”, grande debitore dei fumetti Marvel; Lo chiamavano Jeeg Robot è italiano a partire dal titolo, funziona da promessa e per fortuna è mantenuta, dando un senso all’involontaria campagna marketing che vede Enzo Ceccotti come il primo supereroe italiano – la stessa che seguì appunto il film di Salvatores.
Esempi in passato ce ne sono stati, come Poliziotto superpiù (guarda caso sempre Terence Hill), ma la storia lo vedeva come agente delle forze dell’ordine di Miami, L’uomo Puma, in cui l’eroe è uno studioso britannico, e Capitan Basilico di Massimo Morini, che si descrive da sé. Insomma, Lo chiamavano Jeeg Robot non è il primo supereroe di produzione italiana, bensì, se escludiamo il trash genovese, è il primo supereroe italiano come personaggio e ambientazione. Solo il suo finale è americano, con Enzo Ceccotti, ormai dentro di sé Jeeg Robot, osserva dall’alto del Colosseo la Roma che dovrà e vorrà difendere in futuro, come un classico superhero vecchio stampo.
Nicola Guaglianoni e Menotti, al secolo Roberto Marchionni, sceneggiatori, hanno scritto per la regia di Mainetti un film più unico che raro, se sequel e imitatori non arriveranno – e ci auguriamo seriamente il contrario -, meritevole di attenzione per ciò che rappresenta oggi e per come guarda alla piccola storia dell’Italia spettatrice. Speriamo l’esempio sia seguito, che il cinema italiano prosegua la strada intrapresa da qualche anno, verso una forma di innovazione e di studio di se stesso connotato da una sfrontatezza assente per molti troppi anni. L’Italia sta producendo, come un tempo, la propria versione dei generi principali, costruendo una nuova visione di cui abbiamo un disperato bisogno.