Sosta Palmizi // Bisbigliata creatura
“L’universo non ha un centro, / ma per abbracciarsi si fa così: / ci si avvicina lentamente / eppure senza motivo apparente, / poi allargando le braccia, / si mostra il disarmo delle ali, / e infine si svanisce, / insieme, / nello spazio di carità / tra te / e l’altro.”
Questi versi campeggiano sulla copertina della raccolta di poesie pubblicata da Einaudi (2014), La bambina pugile, ovvero La precisione dell’amore di Chandra Livia Candiani. Parole di dolcezza che trasfigurano la sostanza di un Tu in un destinatario potenziale, stretto o lontano, o un “noi creaturale” che accomuna tutte le entità, da quelle divine a quelle terrene. Ben riflette questo mondo spiritualmente e intrinsecamente connesso, lo spettacolo Bisbigliata creatura, che proprio alla raccolta della poetessa si dichiara ispirato e prodotto da Sosta Palmizi, andato in scena il 30 gennaio allo Spazio Diamante nell’ambito del festival romano InDivenire, di cui ha vinto il Premio Danza nel 2019. Uno spettacolo che ha avuto una lunga gestazione, anche a causa della pandemia, motivo per cui è riuscito a essere portato sul palcoscenico romano soltanto quest’anno.
Un telo di cellophane chiude il boccascena accentuando la quarta parete, il distacco tra la platea e il mondo evocato. Luci stroboscopiche si abbattono su una forma indefinita, impercettibile, che si agita sul palco, una creatura indistinta che si accende delle tonalità rossastre. La scena, nonostante la variazione di intensità luminosa, indugia su una staticità troppo perseguita, forse per aumentare le aspettative dello spettatore, l’attesa di un cambiamento rivelatore di un incontro con l’Altro. Quando finalmente il telo cade sul proscenio, si svela il fragile e minuto corpo di Mariella Celia, anche ideatrice e regista dello spettacolo, che ha realizzato la ricerca drammaturgia e la coreografia insieme all’altra interprete, Cinzia Sità. La figura color carne di questa creatura assume le sembianze di un’ideale “bambina pugile” poetica. Ha persino i guantoni, che fanno apparire le sue membra ancora più sottili, e la pelle incipriata e illuminata da un cono di luce, mentre dei vapori l’avvolgono in un’atmosfera oscura, ma al tempo stesso materna e uterina. Come circondato dall’acqua il corpo si agita, sguazza, con pulsioni primordiali e generative, somigliante a quello di una sirena che si tramuta in un’essenza umana. Il suo contorcersi è vertigine, insicurezza, forse terrore e fragilità, come la creta di cui appare composto il candido volume della danzatrice, originato dalle polveri che scoloriscono anche i suoi capelli; le musiche dallo stile inconfondibile di Gianluca Misiti, una miscela di suoni urbani e leitmotiv dissonanti, accompagnano il suo solo che diventa un duo con l’arrivo di Cinzia Sità, creatura sorella, complementare e omogenea nei movimenti: l’una all’altra dà l’impulso e, insieme, ondeggiando tra i suoni di una città immaginaria in riva al mare, cadono razionalmente e si rialzano in frangenti di danza pura e desiderata. Bisbigliate creature si tengono per mano nella giungla urbana, in un tenero finale circolare, limbo di poesia e di quiete.