Sorry We Missed You
Scrivere del cinema di Ken Loach oggi è quasi un dovere morale. Scrivere del suo ultimo film, Sorry We Missed You, lo è ancora di più. Nel panorama cinematografico pochi registi hanno avuto non solo la capacità ma il coraggio di raccontare uno spaccato della nostra società così profondamente sconfortante, disumano e crudele. Perché sconfortati si esce dalla sala e si rimugina su quanto sia immeritato e ingiusto che l’umanità venga trattata da altrettanta “umanità” nel modo in cui Ken Loach la ritrae. Ma non è propriamente un ritratto quello che il regista inglese, di anni 83, tinteggia, poiché nei ritratti c’è sempre una luce che arriva dall’alto o dal fondo; nei film di Loach, invece, il cielo è incolore (non da meno quello dell’operaia Newcastle in cui la vicenda è ambientata) e le vite altrettanto anonime e per questo specchio riflesso delle nostre e in dovere di essere raccontate. Ken Loach, infatti, non parla a noi, parla di noi: della precarietà lavorativa, della sempre più frequente perdita di equilibrio psicofisico, di quanto e di come la rabbia e la mancanza di un sonno regolare e ristoratore si riflettano sui rapporti che solo l’amore per la vita e per la vita dei propri familiari provano a tenere altrettanto precariamente a galla.
Ricky Turner (Kris Hitchen), padre di famiglia sulla quarantina, viene assunto come corriere di pacchi presso un’azienda il cui spietato titolare (Ross Brewster) si spaccia come un “businessman” che permetterà una vita agiata ai dipendenti più produttivi in termini di velocità di consegna e di fatturato giornaliero. Allettato dalla proposta, complice il desiderio di comprare una casa e di vivere in modo più dignitoso, Ricky accetta di autofinanziare l’acquisto di un furgone (vendendo, per questo, l’auto di famiglia) e di lavorare un numero incalcolabile di ore, riservando sempre meno tempo a sua moglie Abby (Debbie Honeywood), amorevole badante-infermiera e ai suoi due figli, Seb (Rhys Stone), liceale ribelle che marina la scuola per darsi all’arte dei “graffiti” e l’undicenne Liza Jane (Katie Proctor), la più sensibile di tutti ai disagi familiari. L’unione familiare – riscontrabile in pochi ma salienti momenti della pellicola – viene gradualmente minata fino al suo totale logoramento: Seb, il figlio maggiore, manifesterà il suo dissenso praticando una forma di ribellione che il padre non saprà gestire se non con urla e punizioni insensate al contrario della madre che, con ragionevole pacatezza, non solo funge da “paciere” ma riveste un ruolo di straordinaria lucidità. La riflessività di lei, nonostante la sua vita lavorativa sia altrettanto frenetica, sottopagata e senza tutela alcuna (come le fa notare una anziana, ex sindacalista, a cui riserva le sue cure) sono il collante tra le due forze maschili – che arrivano nella scena più “schizofrenica” del film alle mani – e quella meno marcata, ma ugualmente drammatica della piccola Liza che soffre fino al punto di mentire per quello che crede essere il bene della famiglia.
Ancora una volta Ken Loach risulta magistrale nell’isolare ognuno dei personaggi, raccontando la loro personale tragedia che, per età sensibilità e carattere, viene vissuta e affrontata in modi diversi e al contempo interseca la storia di questa famiglia con quella di milioni di famiglie (inglesi e non) che, annaspando in un mare di debiti, tentano di “vendere” la loro disperazione ad una competitività delirante e spicciola, mancando il conforto di uno Stato di diritto. Il regista apre pertanto una voragine nello spettatore che, come Ricky, è stato costretto a falsare le sue priorità ad ingigantire la propria solitudine. Dopo I, Daniel Blake (che valse al regista la Palma d’Oro nel 2016), in cui lo Stato arriva a negare assistenza sanitaria ed economica ad un uomo anziano e malato, Ken Loach fa, cronologicamente parlando, un passo indietro e ci racconta i desideri – legittimi – di un padre di famiglia che ha avuto la sola “colpa” di farsi sfruttare pur di dare ai propri figli un presente migliore – perché il futuro nei film di Loach come nella vita non esiste –. Mancano l’ironia di un tempo che contrassegnava, pur tra battaglie, scioperi e militanza, un altro piccolo capolavoro come Bread & Roses (2000) poiché qui l’unico sollievo è ancora più realisticamente la pausa pranzo da “gustare” davanti a un pallido e tenero sole a cui Loach sceglie di tributare la locandina del suo ennesimo “pugno nello stomaco”.
- Diretto da: Ken Loach
- Prodotto da: Rebecca O'Brien
- Scritto da: Paul Laverty
- Protagonisti: Kris Hitchen, Debbie Honeywood, Rhys Stone, Katie Proctor
- Musiche di: George Fenton
- Fotografia di: Robbie Ryan
- Montato da: Jonathan Morris
- Distribuito da: Le Pacte (Francia), Cinéart (Belgio), Entertainment One (Regno Unito), Lucky Red (Italia)
- Casa di Produzione: Sixteen Films, BBC Films, BE TV, BFI Film Fund, Canal+, Ciné+, France 2 Cinéma, France Télévisions, Les Films du Fleuve, VOO, Why Not Productions, Wild Bunch
- Data di uscita: 16/05/2019 (Cannes), 23/10/2019 (Francia), 30/10/2019 (Belgio), 01/11/2019 (Regno Unito), 02/01/2020 (Italia)
- Durata: 100 minuti
- Paese: Regno Unito, Francia, Belgio
- Lingua: Inglese