A scuola con la Societas seguendo “Il ritmo drammatico”: intervista a Chiara Guidi e a Claudia Castellucci
Tra il 7 gennaio e il 17 aprile si terrà, presso il Teatro Comandini di Cesena, il corso Il ritmo drammatico. Teoria e pratica della dinamica temporale che inaugura l’Istituto di Ricerca di Arte Applicata Societas, comprendente tutte le attività teoriche e sperimentali che hanno luogo presso il teatro. Condurranno i principali indirizzi del Corso, Chiara Guidi e Claudia Castellucci, fondatrici della Socìetas Raffaello Sanzio insieme a Romeo Castellucci e Paolo Guidi. Il Corso è rivolto “a persone maggiorenni, con uno spiccato senso del ritmo, dell’equilibrio e dotate di resistenza fisica, disposte a vivere un periodo intenso di studio collettivo, che le impegnerà quotidianamente per 14 settimane consecutive (dal 7 Gennaio al 17 Aprile 2019). E’ fissato in 20 il numero massimo dei partecipanti.”
Nella presentazione, le due artiste ricordano l’importanza della ricerca all’interno della didattica tanto che i due moduli da loro presieduti (Movimento ritmico e Dinamica compositiva della recitazione) porteranno a due distinte azioni sceniche che vedranno coinvolti i venti partecipanti. “È importante – dicono – rilevare l’origine artistica di questo Corso, le cui articolazioni sono concepite come ricerca e non seguono l’itinerario di una metodologia didattica ripetuta. La didattica è per Societas una conseguenza dell’estetica ed è espressione della volontà di agire in rapporto alla società”. Oltre alle due linee principali saranno molti i docenti che proporranno lezioni monografiche e tra essi Romeo Castellucci terrà un seminario dal titolo Struttura e dinamica della regia. Abbiamo raggiunto telefonicamente le due artiste per porre loro alcune domande e approfondire alcune tematiche che svilupperanno all’interno dei moduli.
Nella presentazione del corso spiegate che è stato concepito come ricerca e non come didattica ripetuta. Perché? E qual è l’importanza del concepirlo in questo modo?
Chiara Guidi: Questo Istituto di Ricerca Applicata è tenuto da una compagnia teatrale attiva e questo significa che le lezioni sono tenute da persone che producono un’attività di ricerca indipendente. È quindi impossibile non mettere in campo la propria ricerca nel momento in cui si stabilisce un programma e una programmazione che vertono intorno alla figura del ritmo. Il fatto che sia non una pedagogia che si ripete ma qualcosa che si rinnova è dovuto proprio all’essere inserito dentro il campo della ricerca. Questa infatti non ha una fine. Fine e finalità sono disgiunte e una ricerca finita non avrebbe più senso di esistere. Questa parola ha in sé la necessità continua di un’esperienza sul campo ed è per questo che l’Istituto ha risvolti molto concreti avendo all’interno una didattica con azioni pratiche molto precise.
Claudia Castellucci: L’importanza comprende due ordini: il primo dipende dal fatto che noi siamo artiste, per cui abbiamo il comportamento di chi compone un’opera. La didattica stessa, di conseguenza, deve seguire il medesimo orientamento, cioè quello della composizione; cerchiamo infatti di rendere partecipi gli allievi del nostro modo di comporre un’opera. Io penso che questo sia il modo di concepire la didattica, come nell’antichità veniva intesa la scuola, una vita in comune e un dialogo tra insegnante e allievi. Qualcosa di vivo e non una semplice trasmissione di dati dall’insegnante allo scolaro. Il secondo motivo è che in questo modo, cioè attraverso la partecipazione alla creazione, si può concepire la didattica come pratica, avendo quindi una componente di “fissazione” nella attività, nell’azione, nella decisione. Che non solo l’insegnante deve prendere, ma che va presa insieme ai corsisti.
È interessante notare come, sia nel titolo del corso sia in quello dei vostri moduli, siano inserite parole come ritmo e composizione che nell’accezione comune rimandano principalmente alla musica pur essendo fondamentali anche nelle arti sceniche. C’è una scelta precisa dietro a ciò?
Chiara Guidi: Le parole ritmo e composizione sottendono tutte le arti e direi anche ad ogni attività umana, perché servono a dare un ordine al caos delle possibilità. Quindi il ritmo è la capacità di fronte a un caos di stabilire una regola, un numero, un’unità di misura. È ciò che permette alla ricerca di applicarsi allo stesso argomento ma in modi sempre diversi. La parola “composizione” è l’unione di elementi differenti legati tra loro da un’unità compositiva che spesso è un’unità ritmica. Sono parole che troviamo nell’alternarsi di un colonnato (dove c’è un ritmo) o all’interno della pittura o della scultura (dove si può parlare di ritmo della composizione). Qualsiasi cosa porta con sé la problematica fondante e fondamentale di ritmo e di composizione. La cosa interessante è che non sono concetti definitivi, ma sono alla ricerca di sé; non hanno degli obiettivi, ma sono di per sé ambito di ricerca: cos’è il rimo e cos’è la composizione?
È un luogo comune quello di credere che il ritmo sia esclusivamente musicale. Il respiro è un ritmo, le fistole e le diastole del cuore rappresentano un ritmo. Siamo impregnati di ritmo, è una parola che riguarda l’ontologia umana. Poi la musica, tra le arti, ha qualità particolari perché è l’unica ad essere manifestativa e non rappresentativa. Questo vuol dire che si affida a una sensazione, a una logica della sensazione. Riesce a farti piangere o ridere senza comprenderne il motivo, perché non usa il linguaggio logico. E questa è una componente molto affascinante, soprattutto nel mio ambito, perché io uso la voce, che è uno strumento musicale.
Claudia Castellucci: Ci siamo accorte che la dimensione del tempo e della drammaturgia all’interno della dimensione artistica è poco considerata nelle scuole ordinarie. Quindi ci sembrava il caso di creare un corso dedicato, in maniera specifica, alla componente del tempo come componente dinamica e drammaturgica, e sperimentare che cosa significa “comporre in base al tempo”, riprendendo l’accezione classica della composizione che prevede ingresso, sviluppo, apice ed epilogo. È verissimo che queste parole vengono utilizzate in maniera chiara dalla musica, ma sono fondamentali anche nelle arti visive. Tuttavia, direi che la musica è all’origine del teatro perché l’azione teatrale nasce con la musica e con un’esperienza del tempo condivisa con gli spettatori, i quali grazie alla composizione della tragedia o della commedia vivevano di fatto un altro tempo, con un altro ritmo e diverso da quello solito della vita quotidiana. Da qui l’attenzione al valore drammaturgico della composizione e al significato del tempo per chi costruisce o recita un dramma.
Entrando nello specifico del modulo Dinamica compositiva della recitazione, viene da chiedersi: in che modo la voce entra nella parola scritta?
Chiara Guidi: Come dicevo la voce è uno strumento musicale, quindi la parola, detta dalla voce, può avere moltissimi significati. Una parola è “anfibologica”, cioè ha due teste. Tanto più nell’arte dell’attore dove una parola attraverso il tono e il timbro può diventare l’incipit di una storia o l’incipit di un’altra. Basta sollevare o abbassare il tono e la parola ‘mamma’ può assumere significati diversi. Alla luce di questo, il testo può spostarsi un po’ più in là affinché la voce venga un po’ più in qua, perché il suono gioca nella recitazione una responsabilità fondamentale: “recitare” significa dare alle parole un suono, e l’attore sceglie il suono seguendo una linea di interpretazione. Non si tratta di restituire alle parole la psicologia o il loro significato, ma di inciderle attraverso il suono della voce, perché così si può rivelare quel fondo nascosto che riservano quando vengono utilizzate. Una parola può essere usata in centomila frasi diverse. Il linguaggio umano è l’unico ad avere, infatti, un numero infinito di possibilità di significazione.
Per un attore che cosa significa porsi davanti allo sguardo di un bambino?
Chiara Guidi: L’infanzia non è un’età, appartiene a colui che vive prima del linguaggio. Il bambino è colui che sa vedere la realtà con uno sguardo di manifestazione. La realtà si “manifesta” a un bambino. Non c’è una logica per cui a un bambino una sedia diventa un cavallo. Il gioco ci insegna questo. Stare di fronte allo sguardo del bambino significa stare di fronte a questa capacità innata del gioco, che è una parola che il bambino condivide con l’attore. In inglese la parola play si usa sia per giocare che per recitare; paradossalmente ci troviamo di fronte a un bambino che sa giocare/recitare meglio di un attore. Quindi come stare di fronte a un bambino che ha una sapienza innata per il gioco? Mettersi davanti allo sguardo di un bambino significa riconoscergli un’autorevolezza, una forza nel suo giudizio proprio perché è capace di credere al gioco che mette in atto.
Come svilupperà il tema del movimento ritmico che dà il titolo al suo modulo?
Claudia Castellucci: Il movimento ritmico bisogna intenderlo come un lavoro di ricerca, di studio e di pratica sul movimento fisico, che dovrà orientarsi di volta in volta all’interno di due macro-paramentri: il primo consiste nel seguire uno schema, un ritmo esterno; i corsisti avranno uno schema di movimenti ben preciso da eseguire e dovranno attenersi a un’esecuzione perfetta rispetto a questo; ma ciò non basta, altrimenti faremmo della sincronia, e quindi ci colleghiamo al secondo parametro, che consiste nell’obbedienza a un ritmo interno, che deve animare lo schema e che verrà studiato e praticato attraverso una serie di esercizi che indagano sulla percezione dell’azione come “giusta”. Quanto deve durare un’azione per passare a quella successiva? Come transitare da un’azione a un’altra? Come rendersi conto di questo transito da un’azione a un’altra? Il ritmo interiore serve ad abitare quello esteriore, cioè quello dello schema, perché altrimenti sarebbe inerte, sterile. Viceversa, solo il ritmo interiore è pura spontaneità, dove non si coglierebbe nessun aspetto profondo, nessuno strato. La difficoltà sarà nel congiungere questi due orientamenti, e farli intrecciare.
(Immagine di copertina: Simbolo dell’Istituto di Ricerca di Arte Applicata Societas. Foto di Balthasar Burkhard)