Arti Performative

Salerno. “Per voce sola” // Cristian Ceresoli/Silvia Gallerano – La merda

Renata Savo

Per la rassegna “Per voce sola – Parole della nostra scena” a Salerno è andato in scena il celebre monologo di Cristian Ceresoli sulle bassezze che sommergono l’Italia, interpretato dalla mostruosa Silvia Gallerano 

Salerno, 17 ottobre. Capito in zona nei giorni giusti. In scena, al Centro Sociale di via Cantarella, c’è – sembra incredibile a dirsi – La merda di Cristian Ceresoli co-prodotto da Marta Ceresoli. “Sembra incredibile” perché una delle prime cose che pensai, dentro di me, quando vidi per la prima volta lo spettacolo a Roma fu: «Sarebbe bello poter vedere uno spettacolo così nella provincia salernitana (dove sono nata e dove mi pare di conoscere ormai bene chi la popola), anche se ho i miei dubbi sulla ricezione del pubblico, che potrebbe non assegnare agli autori le lodi che hanno già conquistato in tutto il mondo».

Con piacevole sorpresa, a distanza di due anni, finalmente, posso confessare quel pensiero e allo stesso tempo affermare di essermi sbagliata.

Le circa 400 persone che sono accorse a vedere lo spettacolo a Salerno ne sono uscite entusiaste, estasiate, rigenerate da quegli effetti catartici che già due volte, stando nella capitale, ho avuto modo di provare prima del debutto salernitano, davanti alla superlativa interpretazione di Silvia Gallerano. D’altra parte, “che sarà mai”, soltanto uno degli spettacoli per «voce sola» – citando il titolo della bella rassegna in cui lo spettacolo è stato inserito, PER VOCE SOLA – Parole della nostra scena, curata da Vincenzo Albano – più rappresentativi degli ultimi anni, vincitore di numerosi premi, tra cui il “Fringe First Award 2012 for Writing Excellence” del prestigioso Edinburgh Fringe Festival e lo “Stage Award 2012 for Acting Excellence”.

La merda, infatti, è un monologo di una bellezza epica, viscerale, che si nutre dell’interpretazione magistrale della sua interprete: testo e corpo come due entità indistinte. Gallerano dimostra qualità elevatissime non solo nel ricoprire il ruolo della donna, fragile dietro una corazza apparente, ma anche nel passare rapidamente da un personaggio a un altro, dal tempo presente al tempo passato, amalgamando ricordi e illusioni, speranze e sconforto. Merito anche di una regia attenta a far fruttare le enormi doti dell’interprete, dallo straordinario talento vocale e mimico, volti, corpi, corporature sono potentemente evocati e visualizzati.

Donna minuta, siede di spalle nuda su uno sgabello mentre gli spettatori prendono posto attorno a lei sul palcoscenico. Canticchia qualcosa fra le labbra chiuse. Un canto simile a un ronzio che scopriremo essere l’inno nazionale italiano. L’Italia, infatti, è al centro del suo monologo. L’Italia, con i suoi personaggi strani: quelli che hanno “fatto” il nostro Paese e che leggenda vuole fossero stati guidati da un uomo “piccolo, ma coraggioso, come lei”; e quelli che oggi si vendono al successo, credendo di poter vincere “facile” grazie all’utilizzo del proprio corpo.

E’ così, senza riuscire a distinguere i due volti, passato e presente, del nostro Paese, l’anima pulita da quella sporca, che questa donna vede se stessa, chiamata a sostenere un provino per uno spot in cui dovrà cantare il celebre inno di Mameli che le cantava il suo papà, un pover’uomo morto suicida sotto i binari di un treno. Ed è così che la “merda” diventa metafora di un intero Paese alla deriva, di quei percorsi oscuri che conducono gli “inetti” ai piccoli traguardi della vita (a volte non solo “piccoli”), per un paradossale connubio di contingenze cui non riusciresti a trovare una spiegazione se non attraverso la tragica consapevolezza che il solo modo per andare avanti, per essere apprezzati, notati, in questo Paese è quello di venire a patti con chi ci circonda, con chi “sta più in alto”.  

Intrappolata nei suoi ideali mutevoli, la donna si mette a nudo in un monologo che non è semplicemente tale, perché racchiude una molteplicità di vite, caratteri, persone, appartenenti alla realtà dentro cui siamo immersi; un monologo alleggerito dalla forma scorrevole di una confessione. Lo spettatore si sente partecipe delle sventure, delle ansie, delle turbe psichiche con cui la donna ha dovuto in passato fare i conti, bloccata nella convinzione di potersene liberare soltanto attraverso l’adesione a un sistema perverso. In una serie di crescendo, nei quali incastra episodi drammatici della sua vita e i suoi immaginari sviluppi, il linguaggio si fa iperbolico, aggressivo, tocca in maniera stupefacente punte d’ironia e di amarezza. Perciò la nudità di Silvia Gallerano non è affatto una nudità classica, non può esserci sensualità. Al contrario, attraverso le sue straordinarie espressioni si trasforma in corpo “ripugnante”, animalesco anziché umano, che rispecchia la natura delle sue intenzioni, merito di un disegno luci che accentua difetti fisici altrimenti quasi impercettibili.  

Ancora una volta, quindi, all’uscita mi ricordo perché ho scelto di rivedere per la terza volta lo stesso spettacolo: non c’è dubbio che a distanza di due anni il testo cominci a perdere la sua urgenza (ma neanche tanto – anche se, certo, due anni fa il tema della strumentalizzazione del corpo femminile era una questione ancora più attuale), ma non la sua dirompente energia. Mi auguro di vedere presto altri lavori di Cristian Ceresoli, e soprattutto, mi auguro di vedere nuovamente realizzata la possibilità (resa concreta da iniziative di alto valore culturale come questa rassegna PER VOCE SOLA, o anche HUB – Network delle culture contemporanee) di pianificare dalle mie parti (a Salerno, quindi, e non solo nella capitale) di andare a vedere con amici spettacoli così ben fatti, per cui pensi valga proprio la pena ritornare.

Speriamo che le “voci sole”, insomma, diventino un bel coro.

 


Dettagli

  • Titolo originale: La merda

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