Hard to be a god
Uno degli eventi del Festival del Cinema di Roma 2013 era la proiezione dell’ultimo e postumo film del maestro russo Aleksej Jurevič German, vincitore del Premio alla Carriera.
Chi ha avuto il privilegio di assistere alla proiezione di Hard to be a God di Aleksej German potrà raccontare di aver preso parte alla storia del Cinema nel suo farsi.
Un cineasta difficile, German, un talento complesso e introverso che è riuscito a portare a termine solo quattro lungometraggi e mezzo (il “mezzo” è Sed’moy sputnik, girato con Michael Aronov nel 1968), solitario al punto da non aver mai stretto rapporti fecondi con autori connazionali che all’estero e in patria hanno avuto più fortuna – Tarkovskij prima e Sokurov poi.
Alla base c’è il romanzo omonimo del 1964 dei fratelli Arkadij e Boris Strugackij, astri della fantascienza dal cui Picnic sul ciglio della strada Tarkovskij ha tratto Stalker. German cominciò a considerare le possibilità di un adattamento già nel 1968, anno di pubblicazione. German avrebbe voluto farne il suo film d’esordio, ma si è poi ritrovato a non vederlo neanche mai nella sua forma definitiva, essendo venuto a mancare nel febbraio del 2013 durante la post-produzione. Il montaggio è stato portato a termine dal figlio Aleksej German Jr. e dalla moglie Svetlana Karmalita.
La storia del massacro di Arkanar (titolo di lavorazione) racconta di un’équipe di scienziati inviata su un pianeta fermo ancora a un oscuro Medioevo: il loro compito è aiutare questa civiltà a progredire, ma non possono intervenire con la violenza né possono uccidere. Per Rumata, colui che guida la spedizione, sarà difficile fare affidamento agli intellettuali del tempo, soffocati da abissi di putridume e arretratezza.
C’è tanta Russia cinematografica in Hard to be a God. Nell’impietoso accanirsi su volti e gesti della camera di Vladimir Ilyin e Uriy Kilmenko, i due direttori della fotografia che sono riusciti a tirar fuori un bianconero materico e diafano al contempo. Ci sono echi di Ejzenstejn, che confermano un sacrosanto pensiero di German, secondo il quale il cinema muto non aveva esaurito, in circa trent’anni di dominio, tutte le proprie potenzialità espressive.
Un bianconero alla Rublëv, senz’altro, ma senza il “volo” tarkovskiano. Viene in mente, piuttosto, il Faust di Sokurov, per l’insistito ricorso a travelling su steadycam, in un moto quasi ondeggiante della macchina da presa, ma le differenze sono sostanziali: laddove Sokurov assumeva distanza scientifica nelle scene di anatomia oppure coreografava in maniera aerea, come solo lui sa fare, le scorribdande di Faust en plein air, German si butta coraggiosamente nella mischia, è sempre addosso a uomini e bestie, arrivando addirittura a sfondare la quarta parete.
German, a Roma, è stato insignito di un postumo riconoscimento alla carriera. Ma il miglior premio che gli si possa conferire è un’affluenza entusiasta alle proiezioni di questa sua opera capitale, un inestimabile capolavoro cinematografico.
Dettagli
- Titolo originale: Trudno Byt' Bogom
- Regia: Aleksej Jurevic German
- Anno di Uscita: 2013
- Genere: Fantascienza
- Fotografia: Vladimir Ilyin, Uriy Klimenko
- Musiche: Victor Lebedev
- Produzione: Russia
- Cast: Leonid Yarmolnik, Yuriy Tsurilo, Natalia Moteva, Dmitriy Vladimirov, Laura Lauri, Aleksandr Ilin, Evegenyi Gerchakov
- Sceneggiatura: Aleksej Jurevič German, Svetlana Karmalita