Roberto De Simone/Davide Iodice // Trianon Opera – Tra pupi, sceneggiata e Belcanto
Da più di due secoli La Cantata dei Pastori mette in scena quella commistione tra linguaggi, generi letterari, religiosità ufficiale e devozione popolare che è tra i tratti più autentici della cultura napoletana. Come nei presepi di San Gregorio Armeno, popolati da creature angeliche e mezzi-demoni, in essa il dramma sacro convive con il teatro delle maschere, derivazione del mondo pagano e conferma al detto – riportato anche da Benedetto Croce nel titolo di un suo libro – che Napoli sia un paradiso abitato da diavoli.
La nuovissima edizione firmata da Roberto De Simone e Davide Iodice si intitola Trianon Opera – Tra pupi, sceneggiata e Belcanto, ed è una rivisitazione dell’opera tardo-seicentesca di Andrea Perrucci. Lo spettacolo è andato in onda in prima assoluta su Rai 5 lo scorso 30 aprile per la regia televisiva di Claudia De Toma dal teatro Trianon Viviani di Napoli, che lo ha prodotto in collaborazione con Scabec e Fondazione Campania dei Festival – Campania Teatro Festival, in attesa di debuttare la prossima stagione dopo il rinvio dello scorso Natale.
Il testo dell’abate Perrucci – autore gesuita di drammi, libretti e versi in latino, napoletano, calabrese e siciliano – esordì nel 1698 come dramma sacro per narrare la storia della nascita di Cristo in forme più vicine al sentire del popolo. Rappresentato ininterrottamente nel corso dei secoli in tutti i teatri di Napoli, subì continui adattamenti e rimaneggiamenti che ne accentuarono il carattere farsesco e profano, soprattutto per l’introduzione, accanto ai protagonisti del racconto evangelico, dei personaggi di Razzullo e Sarchiapone (il primo, uno scrivano napoletano inviato in Palestina per il censimento di Cesare Augusto e perennemente affamato, l’altro, un barbiere in fuga per aver commesso due omicidi), due discendenti diretti delle maschere della Commedia dell’Arte.
Nel celebre allestimento del 1974 – con Peppe Barra e la Nuova Compagnia di Canto Popolare – Roberto De Simone curò la riscrittura, la regia e le musiche. Tra le novità introdotte con lo spettacolo Trianon Opera vi sono nuove cornici musicali, arie d’opera di Carmine Giordani, Giovanni Battista Pergolesi, Domenico Cimarosa, Riccardo Broschi, Mozart, Leonardo Vinci e Vincenzo Bellini che, nell’interpretazione del soprano Maria Grazia Schiavo e dei solisti dell’orchestra Nuova Polifonia diretti da Alessandro De Simone, fanno rivivere la stagione dei grandi conservatori settecenteschi napoletani e degli evirati, le voci bianche maschili, tra cui si annovera il famosissimo Farinelli (1705-1782). Contribuiscono a ricreare le atmosfere da teatrino del Settecento le scenografie e i fondali dipinti a cura di Gennaro Vallifuoco e Raffaele De Maio, e i costumi, di Giusi Giustino).
Tra giochi di luce curati da Gianluca Sacco e macchine teatrali, prende corpo la storia di Maria e Giuseppe in viaggio verso Betlemme per far nascere il Salvatore del mondo e costretti a sfuggire alle insidie delle divinità degli Inferi, eterna metafora della lotta tra il bene e il male che continua a regalarci stupore e incanto.
Non rinuncia, ancora una volta, De Simone a giocare con i personaggi e loro potenziali ambiguità, facendo vestire i panni dell’Arcangelo Gabriele a una donna (Veronica D’Elia), quasi a sottolinearne la natura soave e mistica, la sua diversità rispetto alla materia umana, e quelli della Vergine Maria a un uomo (Michele Imparato), secondo la consuetudine che vietava alle donne di recitare, mentre la maschera di Sarchiapone assume su un attore (il giovanissimo Luca Lubrano) le sembianze di un “pupo”, e non sono mancati i pupi quelli “veri”, realizzati da Flavia D’Aiello.
Insieme a loro in scena Pino Mauro (San Giuseppe), Rosario Toscano (Belfagor) e Oscar Di Maio (Razzullo), interpreti della tradizione artistica popolare napoletana felicemente recuperati dal regista in questa operazione, con Antonio Buonomo (Armenzio), Biagio Musella (Ruscellio) e Luca Lubrano (Benino).
Ma la vera novità dello spettacolo è la trasposizione del testo perrucciano operata dal Maestro con l’Ipa (International phonetic alphabet, Alfabeto fonetico internazionale), che ne rende più oscuro il significato, avvicinandosi però di più alla pronuncia degli attori di tradizione napoletana del Settecento. Ed è proprio nella presenza di questa sonorità arcaica, ancestrale, che si coglie tutto il senso di questa nuova messa in scena della Cantata, che non ha bisogno di essere compresa parola per parola: bastano la mimica, le movenze, i cambi di registro dei suoi interpreti per raccontare una storia ormai senza tempo.
[Immagine di copertina: “Trianon Opera”. In foto, Gabriello Aracangelo (Veronica D’Elia), Giuseppe (Pino Mauro), Maria Vergine (Michele Imparato), Ruscellio (Biagio Musella), Razzullo (Oscar Di Maio). Foto di Chicca Ruocco]