Cinema Il cine-occhio Senza categoria

Richard Jewell

Stefano Valva

L’attacco dinamitardo delle olimpiadi di Atlanta del ’96 fu una delle prime avvisaglie del terrorismo islamico sul territorio statunitense, che arriverà al clou con gli eventi dell’11 settembre. All’interno del drammatico caso di cronaca, che sconvolse la cittadina Georgiana, vi è una sotto-storia di un uomo americano medio, ossia Richard Jewell (anche titolo dell’opera).

Clint Eastwood – come suo solito – decide di entrare nel microcosmo sociale dell’America, per narrare una storia ai limiti dell’assurdità. Perché Richard Jewell, la sera dell’attentato al Centennial Park (luogo dove si svolgevano, in ogni sera delle giornate olimpiche, concerti di famosi artisti) era nello staff di sicurezza, un lavoro di ripiego, che d’altronde rappresentava in parte la sua sfrenata passione per le forze armate.

Richard si accorge prima di tutti della presenza di uno zaino sospetto, in prossimità di una panchina, e ciò fa nascere una procedura all’epoca superficiale, dato che ancora non c’era negli States quell’asfissiante paranoia che diverrà tale dopo il 2001. Eppure il protagonista, grazie alla sua incentivazione nel far abbandonare l’area, effettivamente evita anche un’immane tragedia, non riuscendo a scongiurare ad ogni modo la morte di alcuni civili.

E cosa ci può essere di strano in questa storia? Richard ne esce indenne e ne esce da eroe delle olimpiadi, ha sventato il peggio, e ha evitato che morissero in tanti. La storia raggiunge i limiti dell’assurdità, quando l’FBI – in combutta con buona parte dei media – decide di trovare un capo espiatorio, poiché incapaci di creare una pista ove condurre le indagini.

Il capo diviene proprio Richard, che improvvisamente si ritrova indagato e perseguitato dagli enti governativi e dai media, che lo ritengono un profilo perfetto (data l’estetica, le passioni e lo stile di vita) di attentatore seriale.

Il film del regista e autore americano è tutto un caso giudiziario sensibile e delicato, ove il giudizio dei media e dei federali si intreccia con quello dello spettatore, che vede un inetto subire una situazione più grande di lui, un vortice mediatico e psicologico spinoso e demoralizzante, una vita tranquilla e onesta rovinata dal giudizio pregiudizievole della massa, che ha il bisogno fisiologico di incolpare qualcuno e/o qualcosa (anche senza certezze) su di un evento così sorprendente e ingestibile.

L’unica ancora di salvezza per il protagonista è uno strambo avvocato (una vecchia conoscenza di quando faceva il facchino anni prima in uno studio legale), interpretato ottimamente da un Sam Rockwell, che ha la capacità innata di prendersi la scena, anche quando il suo personaggio è apparentemente secondario.

Il caso Richard Jewell fa anche pensare alla figura dell’eroe, che è sempre difficile da inquadrare e da scoprire, perché è più facile diffidare, negare, invidiare e distruggere un profilo, più che idolatrarlo.

Spesso l’opinione pubblica è cosi cieca che non riesce a notare in una società ipocrita e meschina alle volte la vera figura dell’eroe, ossia quelle persone che sono fatte per dare, e non per secondi fini, ma solo per il puro gusto di amare il prossimo, come si ami sé stesso (riprendendo un dogma religioso, che spesso rimbalza nell’opera).

Eastwood ci tiene a sviluppare tali temi, creando inoltre un vortice dell’assurdo e del surreale, che è una velata ma pungente critica alla società moderna americana, alla superficialità del sistema giudiziario e alle pratiche poco ortodosse degli enti governativi pur di portare un caso a termine, anche se quella risoluzione non è la verità.

E tali istituzioni non comprendono che possono rovinare la vita sociale, personale e familiare di una persona, che nel caso di Richard è la vita quotidiana in casa con la madre (interpretata da Kathy Bates, la quale per la sua performance è stata anche candidata all’Oscar); lei soffre più di tutti, perché si ritrova ad aver cresciuto un figlio con determinati valori, e poi quel figlio non viene etichettato come tale dalla massa e dalla società, e fa di tutto pur di difenderlo, divenendo indirettamente e metaforicamente l’avvocato più feroce.

L’ennesima storia vera dell’autore americano è coinvolgente, toccante ed emozionante, come quasi tutte le sue pellicole, seppur perda un po’ di linfa nella parte finale, che poteva essere gestita meglio a livello di sceneggiatura e consegnare un epilogo eloquente e coerente, nel momento in cui il pathos raggiunge i picchi più alti in alcune sequenze.

E la società è così cieca nell’individuare le reali figure degli eroi, che come lo stesso Richard, soffrono della sindrome dell’incomprensibilità, dell’attacco pregiudiziale, dell’essere etichettati negativamente, solo perché fuori dagli schemi di un conformismo estetico e moralistico, ergo di mancata accettazione della diversità.

Lo sa bene anche un personaggio altrettanto rilevante, ossia Kathy Scruggs (Olivia Wilde), che è lo stereotipo della giornalista determinata e pronta a tutto pur di far notizia, inconsapevole (o quasi) del vortice psicologico che i media possono creare a discapito di tante famiglie.

Richard Jewell è un film che nel caos sociale entra con la macchina da presa in primo piano nell’emotività di una persona onesta e disponibile, nella decadenza psicologica di quelli che credono fermamente nelle istituzioni e nelle componenti del proprio paese, e che infine sono costrette a ricredersi.

Eppure, quello che colpisce più di ogni altra cosa, è la spropositata bontà del protagonista, che non si limita a porgere l’altra guancia e ad intraprendere “solamente” una guerra giudiziaria e morale contro chi lo accusa, ma resta quasi sempre gentile, disponibile, amorevole ed educato con tutti, anche contro chi gli va contro gratuitamente. Richard Jewell sono quelle persone che sono fatte per dare e per amare, e non riescono a non farlo, anche in situazioni nelle quali sarebbe semplice e comodo essere (di riflesso) meschini.

Anche in un contesto nel quale (quasi) nessuno sa ricevere, Richard non cambia mai il suo essere, rimane sempre sé stesso. Perché se il contesto è cieco, allora non sono tali eroi che devono mutarsi, ma è lo stesso sistema sociale/politico che deve aprire gli occhi, e modificarsi intorno ai loro esempi, intorno alla loro genuinità.


  • Diretto da: Clint Eastwood
  • Prodotto da: Tim Moore, Jessica Meier, Kevin Misher, Leonardo DiCaprio, Jennifer Davisson, Jonah Hill, Clint Eastwood
  • Scritto da: Billy Ray
  • Tratto da: "American Nightmare: The Ballad of Richard Jewell" di Marie Brenner
  • Protagonisti: Sam Rockwell, Kathy Bates, Jon Hamm, Olivia Wilde, Paul Walter Hauser
  • Musiche di: Arturo Sandoval
  • Fotografia di: Yves Bélanger
  • Montato da: Joel Cox
  • Distribuito da: Warner Bros. Pictures
  • Casa di Produzione: Malpaso Productions, Appian Way Productions, Misher Films, 75 Year Plan Productions
  • Data di uscita: 20/11/2019 (AFI Fest), 13/12/2019 (USA), 16/01/2020 (Italia)
  • Durata: 129 minuti
  • Paese: Stati Uniti
  • Lingua: Inglese
  • Budget: 45 milioni di dollari

Una selezione delle notizie, delle recensioni, degli eventi da scenecontemporanee, direttamente sulla tua email. Iscriviti alla newsletter.

Autorizzo il trattamento dei dati personali Iscriviti