ricci/forte – Troia’s Discount
Al Piccolo Teatro Studio Melato di Milano è andato in scena questa pietra miliare del teatro contemporaneo, del 2006. Il luogo fisico del supermercato diventa crocevia di individui disillusi che dentro questo spazio apparentemente rassicurante vedono proiettarsi desideri e ambizioni.
Il pubblico si accomoda in sala, e i performer stanno lì in piedi sui carrelli della spesa, cercano di spostarsi come se fossero sugli skateboard, anche se lo sforzo è notevole. Lo spazio evocato, chiaramente, è quello del supermercato: un luogo simbolico, di passaggio. Uno spazio di attraversamenti, di incontri-scontri tra persone e carrelli, il rifugio di vite sole, misere, casalinghe, in cui cerchiamo, cerchiamo e non troviamo, compriamo la merce di cui ci nutriamo, il più delle volte spazzatura mascherata da confezioni che rendono il prodotto desiderabile e rassicurante. Il discount, sembrano dire ricci/forte, è lo spazio in cui sono proiettati i nostri desideri: desideri fallaci di un’esistenza fallace. Nel carrello non ci sono merci ma esseri umani in cerca di un acquirente che provi a guardare il contenuto, non la confezione. S’incontrano individui privi di ambizioni come Eurialo e Niso, personaggi dell’Eneide rivisitati in chiave pasoliniana; bulli che credono di ritrovare il senso della vita in un’azione malsana come dare fuoco a un supermercato.
Il gusto per il glamour, per il kitsch, per il pop, parole che fanno accapponare la pelle ad alcuni, da sempre contraddistingue il linguaggio iperrealistico di ricci/forte: i colori dei costumi, il glitter degli stivali bianchi con tacco e zeppa, si esaltano al contrasto con le luci al neon verde acido che delimitano i contorni di un’atmosfera rarefatta: il verde acido, il colore artificiale per eccellenza, è anche quello della malattia, si attacca alla pelle dei performer generando un corto circuito ideale tra l’oggettività esteriore del corpo e quel profondo, reale, sentire interiore dell’essere umano che la compagnia porta in scena sin dagli esordi.
Troia’s Discount (2006) rappresenta un classico in senso moderno, una pietra miliare dell’attività dell’ensemble: chi ha già familiarità con i loro lavori sa, infatti, che spiazzano, turbano per il carattere crudo, per il linguaggio ricercato (forse qui un po’ troppo artificioso ma, d’altra parte, i poemi e le tragedie classiche non erano in versi?) che mescola lo stile colloquiale ai neologismi del nostro tempo, in cui le relazioni sociali sono mediate da schermi, da strumenti tecnologici. Turbano perché parlano di noi, anche se usano altri corpi, altre vite messe a nudo. Anche qui come in altri lavori, ricci/forte gridano allo spettatore che il male di cui più spesso ci ammaliamo è causato da una mancanza di amore, dalle disillusioni quotidiane attraverso cui prendiamo atto che i sentimenti sono solo una menzogna, come accade ogni giorno alla Didone en travesti: perennemente abbandonata, smette di credere nell’amore, consapevole dell’impossibilità di amare ciò che già si possiede.
Piaccia o meno, a Stefano Ricci e Gianni Forte va riconosciuto il merito di aver riempito le sale teatrali di giovani, di aver creato dei mondi con una forza che assale e risucchia l’Io dello spettatore, di aver trasferito gli archetipi, il mito, sul piano della contemporaneità. Troia’s Discount, da quest’ultimo punto di vista, rappresenta una sintesi a priori delle loro creazioni, il cui linguaggio si è poi evoluto in direzione di una maggiore astrazione: non più personaggi (qui, rispetto ad alti lavori successivi è ancora possibile trovare un filo narrativo lineare) ma individui reali che attraverso il teatro e la condivisione cercano – e trovano – un modo per esorcizzare le inquietudini della nostra epoca.
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- Titolo originale: Troia's Discount