#RepIdee14: L’alloro rinsecchito
Una realtà sincera, una realtà distorta: il cinema partenopeo osservato ed osservatore alla rassegna de la Repubblica delle Idee 2014.
Piazza Plebiscito ha funzionato da bacino della cultura a Napoli nei quattro giorni de La Repubblica delle Idee, ha accolto nel suo abbraccio volti noti della nazione, penne e voci d’ogni anfratto mediatico di un’Italia dal respiro lento. Il cinema ha voluto la sua parte, privata dello sguardo critico della pagina dello spettacolo curata da Natalia Aspesi, scesa in campo per prender parte alla sezione Officine (e poi annunciare la sua defezione), dove il mestiere è prediletto rispetto al soggetto, ma è stato protagonista con la rappresentanza napoletana che in questi tempi sta facendo valere se stessa e tutto il paese anche al di là del mare e delle montagne che ci dividono dagli altri.
Paolo Sorrentino ha messo da parte la sua statuetta forgiata negli States e si è unito al costituzionalista Gustavo Zagrebelsky e Claudio Botti per concentrarsi sul tema della democrazia attraverso l’occhio, la penna e le idee di una strepitosa firma de La Repubblica, Beppe D’Avanzo, scomparso tre anni fa. Insieme, D’Avanzo e Sorrentino, andarono a caccia dei misteri dietro il mondo di Giuliano Andreotti, scavarono per far sì che Il Divo potesse divenire reale. Il cinema da parte sua del resto ha il dovere di unirsi all’inchiesta, di farsi terreno fertile per le menti col desiderio di sperimentare all’interno di se stesse cosa possano significare le innumerevoli declinazioni della realtà.
Si differenzia di gran lunga l’incontro al Teatrino di Corte con Gabriele Salvatores, anche lui premio Oscar nel lontano 1991 grazie alla simpatia e alla malinconia di Mediterraneo, le cui immagini scorrevano sul maxischermo della sala mentre lui ed i suoi interlocutori Anna Bandettini e l’ora eurodeputato per la lista Tsipras Curzio Maltese facevano il loro ingresso. Di tutt’altra natura rispetto all’incontro commemorativo che ha visto l’arte a la costituzione osservare la vita attraverso un occhio comune, Salvatores parla di Filmare l’Invisibile, come da titolo dell’evento e riprendendo anche quel che sarà il fulcro del suo prossimo film in uscita a Dicembre, Il ragazzo invisibile.
Un discorso amichevole sul cinema italiano, sulla storia di uno dei nostri registi più originali, in continua trasformazione e alla ricerca di qualcosa di nuovo, un autore forse troppo ottimista che esprime una visione chiara in netto contrasto con la realtà dei fatti. La schiettezza e la sincerità di Salvatores hanno offerto al pubblico napoletano un momento di gioia, anche un filino di patriottismo, eppure determinate parole e sentenze sembrano essere la descrizione di un altro paese. Si è parlato di un’Italia senza una tradizione di genere, negando così ancora una volta la giusta attenzione meritata da autori che vanno da Mario Bava a Sergio Corbucci.
Dispiace sentir cancellare un passato e discutere di un presente lontano dove non c’erano maestri a guidare verso una via più giusta, legata ad un’industria salutare anziché l’utopia di un’arte libera che tale non potrà mai essere se desidera continuare ad osare. Un sogno perduto tra gli applausi di chi apprezza l’auspicio di un cinema libero dai meccanismi distributivi a favore di un pubblico sempre più convinto che tutto gli sia dovuto, tra le parole della Bandettini che descrivono un cinema controcorrente nato sotto Salvatores e rappresentato da Claudio Bisio e Diego Abatantuono. Se questo è andare controcorrente allora vuol dire ch’è arrivato il momento d’assumere degli orsi ed eliminare quei salmoni che inquinano le acque di un fiume diventato un ruscello dove pochi pesci ancora sanno da che parte andare.
L’ottimismo, insomma, non è mancato, un sentimento salutare per l’Italia troppo presa dalla polemica e dalle lamentele. Basta piangere lo ha detto anche Aldo Cazzullo, di tutt’altra testata (Corriere della Sera), col suo libro, e non si può esser contrari a chi sostiene che lo stivale debba finalmente trovare la spinta per ritornare a camminare a testa alta. Peccato sia un’impresa complessa per un popolo che al primo segnale positivo sente di essere in diritto di urlare alla ripresa, alla rivalsa, un paese che crede di poter continuare a presentarsi di fronte ai suoi simili forte del passato e di un presente che ancora lo venera e lo imita. Aver vinto più Oscar di tutti quanti non significa niente se ci separano decenni da quei giorni.
Vien da ridere pensando ad un breve botta e risposta catturato all’interno del cortile del Palazzo Reale tra una coppia di turisti stranieri. Lei chiede chi possa mai essere quell’uomo che sul maxischermo sta leggendo sul palco e lui prontamente risponde: «Sarà un prete di queste parti». Tante cose son state dette di Paolo Sorrentino negli ultimi mesi, ma membro della curia è nuova. Questo non toglie valore ad un regista premio Oscar di cui dobbiamo andar fieri, ma ci impone una missione a cui non dobbiamo tirarci indietro: è fondamentale ridimensionarci, far nostra l’umiltà e da lì ripartire.