Rebecca Horn – Capuzzelle
Una nuova personale di Rebecca Horn in mostra allo Studio Trisorio di Napoli
Rebecca Horn, autrice della memorabile installazione in Piazza del Plebiscito per il Natale 2002 dal titolo “Spiriti di Madreperla”, torna in città per una personale allo Studio Trisorio che ha inaugurato il 1 dicembre e che resterà fino al 19 gennaio 2013. In questi anni l’artista ha consolidato un interessante rapporto con Napoli: già un anno dopo la magnifica e discussa installazione tornò per una mostra alla medesima galleria sulla dicotomia fra la natura universale e l’unicità delle invenzioni umane, dove colpirono farfalle meccaniche con ali di piume colorate, disegni e piccole sculture. Nel 2005 riporta le capuzzelle già viste spuntare dal suolo dell’intera piazza, nell’installazione permanente al Museo MADRE “Spirits”, sospese nella sala del museo e accompagnate da specchi mobili e da una melodia soffusa. Nel 2011 è l’appuntamento internazionale con Artecinema che la vede protagonista con “Moon Mirror Journey”, un documentario in cui la Horn rivisita le opere più significative realizzate negli ultimi venticinque anni della sua vita.
L’artista tedesca vive e lavora tra Berlino e Parigi. Ha esposto nei più prestigiosi musei e gallerie d’Europa, Stati Uniti, Giappone e Brasile. E’ stata insignita di numerosi premi, tra cui il premio a Documenta 8 (Kassel 1986), il Carnegie International (Pittsburgh1988), il Barnett and Annalee Newman Award (New York 2004), il Praemium Imperiale (Tokyo 2010), la Grande Médaille des Arts Plastiques (Parigi 2011). Ha realizzato i film: Der Eintänzer (1978), La Ferdinanda – Sonate für eine Medici Villa (1981), Buster’s Bedroom (1990), Cutting Through the Past(1995). Nel 2008 ha curato la regia, le scene e i costumi dell’opera Luci mie traditrici di Salvatore Sciarrino per il Festival di Salisburgo. In Italia sue installazioni sono in collezione permanente oltre al museo MADRE di Napoli, anche presso il Castello di Rivoli di Torino.
Il culto popolare della morte nella tradizione napoletana ha segnato così tanto l’immaginario personale della Horn che ha intitolato la mostra di questi giorni proprio “Capuzzelle”. La sua fonte di ispirazione risale al 2002, quando era a Napoli e veniva accolta da una coppia di coniugi ultranovantenni nella loro casa di vico Lammatari, nel quartiere Sanità, per ascoltare i loro racconti sull’antichissimo culto religioso delle anime del Purgatorio.
Anime ignote, abbandonate, morte nelle epidemie di peste o in altre circostanze violente, che non hanno avuto il tempo di pentirsi dei propri peccati per passare alla beatitudine eterna. I loro crani, le loro ossa sono state ammassate in ossari comuni come il Cimitero delle Fontanelle o nelle cripte di alcune chiese napoletane.
La credenza popolare vuole che queste anime appaiano in sogno ai devoti per chiedere loro preghiere e cure in cambio di miracoli. E i devoti che accettano questo scambio, adottano materialmente un teschio che chiamano affettuosamente capuzzella e periodicamente se ne prendono cura, lustrandolo e pregando per lui.
Lo speciale rapporto di mutua reciprocità fra la vita e la morte che caratterizza la cultura napoletana, il costante flusso d’energia fra l’aldilà e il mondo terreno viene permutato dall’artista che gli da forma in chiave contemporanea, catalizzandolo in opere artistiche di immenso valore.
Negli spazi della galleria alla riviera di Chiaia troviamo alcuni dipinti astratti che ripropongono il colore grigio-nero delle capuzzelle con richiami giallo-dorati che contrastano e vivificano l’intera macchia cromatica, mentre ogni installazione comprende un teschio. Ecco quindi “Metamorphosis, Tiberio”, che può essere facilmente interpretata come una riproduzione sintetica del nostro Castel dell’Ovo: il dialogo tra due teschi che reggono un masso in bilico su un uovo; la vita e la morte, la nascita, la fragilità e la precarietà delle cose, questi i temi universali sempre presenti nelle sue opere. Poi in “Metamorphosis, Ovidio” il teschio è invece racchiuso tra le radici di un albero secco e il masso di tufo si trova stavolta sospeso tra i rami in equilibrio precario. Ancora la forza rigeneratrice, l’energia che viaggia in un moto costante tra la vita e la morte, tra il cielo e la terra. Al centro della seconda sala troviamo “Metamorphosis, Seneca”, qui la capuzzella con una foglia d’oro dietro, regge una sfera di cristallo, la luce che emana dal centro del cranio l’attraversa proiettando delle luci sferiche sul soffitto, e richiamando il senso di trascendenza che ci attraversava su più vasta scala in “Spiriti di Madreperla”, dove si poteva camminare in una sorta di campo magnetico creato tra i trecento teschi in ghisa disseminati per la piazza e le orbite al neon sospese in aria. La mostra si completa con due scatole di vetro applicate al muro, rivestite di specchi al loro interno: la prima contiene polvere di color rosso scuro che ricorda la lava nel sottoterra, sopra la scatola poggia un uovo. La seconda sembra invece riprodurre un ambiente marino, il vetro è dipinto con schizzi di verdeacqua e due grandi conchiglie scure sono poste all’interno e al di sopra della scatola. La personale di Rebecca Horn è dunque un viaggio tra la materia e lo spazio, il visibile e l’invisibile di un immaginario antico che ha fatto proprio, ma che appartiene a tutti noi.