Re della Terra Selvaggia
Pluricandidato agli Oscar e rivelazione del cinema americano, esce nelle sale italiane l’atteso film dell’esordiente Benh Zeitlin, vincitore del Sundance Film Festival del 2012
Galoppando selvaggiamente tra le terre più favolistiche di un “altro” ecosistema, sebbene probabilmente distrutte dall’uragano Katrina, si libera questa wild tale, Re della Terra Selvaggia, talmente leggera e impercettibile nel forzare il cuore dello spettatore e al contempo così pesante nell’annidarvisi viscosamente. Perché se per me esistono due categorie di film, ossia da una parte quelli che cercano di emozionare attraverso il rincorrersi di immagini e dall’altra quelli che sublimano le emozioni “pure” in fotogrammi sullo schermo, l’opera di Benh Zeitlin entra di diritto tra questi ultimi.
Premiato con la Caméra d’or al Festival di Cannes 2012, dove ha gareggiato nella sezione Un Certain Regard, la pellicola è girata in Lousiana e narra il percorso di Hushpuppy, una bambina di sei anni che vive, assieme al padre Wink (Dwight Henry) in un comunità bayou chiamata “Bathtub”, neo selvaggi immersi nella natura dimentica del progresso, dove ci si nutre di crostacei crudi e si dorme in capanna. Ma quello spazio geografico così primordiale ed estraniante sta per esplodere, vomitando sciagure e creature preistoriche. Il ritratto commovente di un rapporto padre-figlia destinato a sciogliersi nel ricordo e nelle lacrime, una storia che sembra quasi un romanzo di formazione su cui si incunea prepotentemente il fantasmagorico: un cofanetto prezioso di dolcissima armonia e disastro stregato, in cui la piccola ma già bravissima Quvenzhané Wallis (solo 9 anni e già una candidatura all’Oscar) si ritrova sola a scorgere il proprio futuro all’orizzonte. La sfida ancestrale tra la natura e l’uomo si ripete, stavolta in maniera esplosiva e sincera, come la fotografia curata da Ben Richardson. Il tema ecologista, quello del viaggio perenne – ora a piedi, ora su barchette improvvisate – la profonda ricerca di se stessi e la corsa affannosa e inevitabile verso la maturità, l’auspicio di un mondo nuovo, sono affrescate con gusto e senza nessun manierismo in questo film che fa della cultura indipendente il proprio naturale background. Sebbene queste tematiche siano state ampiamente affrontate dall’apparato cinematografico, il trentenne regista statunitense lo fa attraverso una lente nuova, plasmando il nostro sguardo con la magia dell’evocativo, dell’afflato accorato.
L’esordiente Zeitlin non poteva presentarsi meglio al grande pubblico, firmando un piccolo gioiello che affonda prepotentemente nel passato per mostrarci il futuro, o almeno uno dei futuri possibili. Beasts of the Southern Wild non è solo un film, ma un’esperienza, e pertanto va vissuto, “attraversato”, e non guardato.
Dettagli
- Titolo originale: Beasts of the southern wild
- Regia: Benh Zeitlin
- Fotografia: Ben Richardson
- Musiche: Dan Romer, Benh Zeitlin
- Cast: Quvenzhané Wallis, Dwight Henry, Gina Montana, Levy Easterly, Lowell Landes, Kaliana Brower
- Sceneggiatura: Benh Zeitlin, Lucy Alibar