Proxima Res // Invidiatemi come io ho invidiato voi
Invidiatemi come io ho invidiato voi di Tindaro Granata ha aperto la nuova stagione 2015-16 del Teatro dell’Orologio. Legato in parte a una tematica personale, la scrittura nasce da un fatto di cronaca: la morte per emorragia di una bambina di due anni e mezzo, provocata dall’abuso sessuale dell’amante della madre
Originario di Tindari, in provincia di Messina, Tindaro Granata è da più parti considerato una fresca rivelazione del teatro italiano degli ultimi anni. Basta leggere le note biografiche pubblicate sul suo sito web per accorgersi di quanta umiltà trasudi dalla sua persona prima ancora che dalla sua presenza scenica. Quell’espressione, sul palcoscenico, da finto “paesanotto”, di chi in fondo vuole parlare anche a se stesso oltre che “di” se stesso, non può fare a meno di palesarsi nel racconto del sacrificio e della fatica occorsi per trasformare in professione la sua grande passione: «si trasferisce a Roma per fare l’attore; nella capitale, lavora come commesso, in diversi negozi di scarpe; poi in trattorie e ristoranti, come cameriere». Eppure nomi importanti lo hanno accompagnato da giovanissimo, a partire dal 2001: Maurizio Scaparro, Luca De Fusco, Carmelo Rifici. Per portare a teatro un pubblico popolare regalava biglietti alle commesse che lavoravano, proprio come lui aveva fatto, nei negozi di scarpe oppure al supermercato. E le persone che invitava andavano. Andavano e si divertivano. Si divertivano e poi ritornavano, quando si trattava di un’altra produzione.
Il debutto come drammaturgo avviene nel 2011 con Antropolaroid: monologo in cui Tindaro indossa con genuino istrionismo voci dialettali, espressioni e sguardi dei suoi avi per dipingere lo sfondo di una realtà locale provinciale e ottusa: dove la donna che parla italiano è “puttana” e quella che non sa parlare bene resta “zitella”.
C’è molto della vita di Tindaro Granata nei suoi testi; non solo personaggi, episodi che lo hanno segnato in maniera indelebile (come un abuso subìto in giovanissima età, che pure viene citato in Antropolaroid), ma anche situazioni quotidiane, che sebbene non lo coinvolgano in prima persona vengono vissute da acuto osservatore quale è; quell’antico formulario di pregiudizi, sentito dire, che oggi si alimenta della errata accettazione di una verità sottomessa all’affermazione “l’hanno detto in TV = allora è vero”.
Invidiatemi come io ho invidiato voi, che ha aperto la nuova stagione 2015-16 del Teatro dell’Orologio e il percorso monografico della compagnia Proxima Res, pur restando legato al tema autobiografico, nasce dall’esser rimasto non indifferente alla notizia al telegiornale di una bimba di due anni e mezzo morta per emorragia provocata dall’abuso sessuale dell’amante della madre, l’uno e l’altra condannati, colpevoli in misura diversa.
Persino quando si tratta di affrontare una materia così intima e personale – e allo stesso tempo scottante – il modo di presentarla allo spettatore è un’edulcorante ironia sostenuta dalla presenza di personaggi stereotipati e contradditori, e dall’utilizzo di un montaggio di voci, azioni, elementi sonori che potrebbe dirsi quasi cinematografico. La presenza di una voce off che commenta e giudica la vita di coppia dei genitori della bambina, l’irruzione di intermezzi musicali che interrompono bruscamente l’azione sottolineando l’ambiguità e il paradosso di personaggi al tempo stesso vittime (secondo l’opinione che hanno di se stessi) e carnefici (secondo l’opinione altrui) sono i sintomi di una scrittura scenica completamente tesa verso lo svelamento di questo paradosso: tradurre scenicamente la complessità della materia di cui è fatta la vita di tutti i giorni e la superficialità di uno sguardo ottuso. Strane sculture in legno pendenti dall’alto rappresentano surreali stilizzazioni di finestre dalle linee spezzate. Le finestre, i primi canali attraverso cui si sono formati i pregiudizi; da dove la “gente” spia e osserva, ascolta e giudica. La chiacchiera, i media, l’opinione comune diventano trucioli di segatura che impazzano, si spandono sul palcoscenico dalle buste della spesa. Sono segni reali, macchie antiestetiche che non vanno via, restano a terra visibili per l’intera durata dello spettacolo.
La stessa narrazione sgorga dall’intreccio di opinioni personali che i personaggi confidano allo spettatore come se si trovassero di volta in volta all’interno di un confessionale dalla parete monca. Nessuno ne esce integro nella sua (im)moralità: dalla madre della bambina, Angela, donna infedele e tremendamente egocentrica, all’amante, Giovanni, che si direbbe incarnare rispetto agli altri personaggi il male assoluto, ma con la parziale scusante di chi resta almeno coerente nel riconoscere a se stesso, e agli spettatori, la natura perversa degli esseri umani. Tra i personaggi più carichi di ambiguità c’è senz’altro il marito di Angela, Agostino (Tindaro Granata), ingenuo e poco presente, e sua sorella, zia della piccola, premurosa e attenta quanto invadente, morbosa dispensatrice di attenzioni verso il fratello.
Per non parlare della madre di Angela, che difende a spada tratta i comportamenti della figlia: per quanto possano sembrare in partenza, le sue, ragioni persino condivisibili dovute all’affetto materno, fa mandare alla sorella di Agostino del salame andato a male, giustificando il gesto soltanto a posteriori, e sostenendo che fosse destinato in pasto ai cani; la sua bestemmia “Che Padre Pio ti fulmini!” rivolta alla vicina di casa, impicciona e al tempo stesso amorevolmente preoccupata, condensa tutta l’eloquenza grottesca del popolino che predica bene ma razzola male.
La pratica dell’egoismo, lo stesso egoismo dilagante nella vita quotidiana, sottende battute, azioni, toccando dal punto di vista linguistico livelli di realismo eccezionali, al di là di qualche stratagemma fumettistico che contribuirebbe a stemperarlo, confermando la maturità stilistica della scrittura di Tindaro Granata, capace di ruotare intorno a una grande assenza, l’innocenza incarnata dal personaggio principale: la piccola bimba di cui lo spettatore arriva, mattoncino dopo mattoncino, a ricostruire la tenera immagine.
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- Titolo originale: Invidiatemi come io ho invidiato voi