“Prove aperte” ovvero l’antiteatro di Max Mazzotta
Prove aperte della compagnia Libero Teatro, scritto e diretto da Max Mazzotta ha chiuso la stagione teatrale Vacantiandu 2022 con la direzione artistica di Nico Morelli e Diego Ruiz. Sul palco del Teatro Grandinetti di Lamezia Terme anche Paolo Mauro e Graziella Spadafora.
Prove aperte è una pièce comica, non convenzionale, che racconta le vicende di tre teatranti calabresi Mimì, Cocò e Carminuzzu (il regista). Tre icone popolari alle prese con l’allestimento di uno spettacolo da rappresentare in un importante teatro con pochi giorni a disposizione e con una svagata e sbrindellata compagnia di artisti: Mimì e Cocò.
Il gruppo cerca di appropriarsi di una “mitologia moderna” cercando le interne contraddizioni, mescolando il riso con la poesia e risalendo alle origini del teatro, soprattutto alla Commedia dell’Arte, unico grande periodo teatrale che è ricordato per la maestria degli attori e non per la grandezza dei testi scritti.
Inizia lo spettacolo. Appare subito chiaro che gli attori non sono la realtà ma ipotesi di teatro, creature eteree, irrisolte nella loro precarietà, assalite da dubbi continui, in costante fuga dal loro autore/regista, Carminuzzu, prepotente, istrionico, visionario, saccente che si presenta in pirandelliane incursioni – alla Hinkfuss – nella platea.
Il funambolismo delle gag ha una corrispondenza nel burlesco e nella strutturazione visuale delle comiche mute che qui si traduce nella tendenza a spostare e a dislocare i segni, a svuotare i codici generando piccole apocalissi con pianti, urla, eccitazione nervosa. Basta un nulla, una minuzia a sconvolgere uno stato di calma apparente e a generare risse, sconvolgimenti, tafferugli.
Nel quadrato magico avviene il magma della creazione. All’interno del suo perimetro tutto ha la stessa importanza – gli odori, i sapori, gli alberi, gli animali – tutto può essere personaggio, quindi rappresentazione e, perciò, teatro. Il teatro come invenzione, dunque, liberato da quel senso di oppressione legato all’eccesso di senso che accompagna la tradizionale recitazione accademica.
Dentro questo meccanismo galleggia la lingua di Mazzotta, il vernacolo cosentino, scelto come lingua teatrale per esprimere la potenza della realtà quotidiana. Lingua parlata, ribelle, poetica e trasgressiva che diventa filtro attraverso cui le situazioni comiche come il delirio verbale, il nonsense, l’assurdo si elevano a protagoniste di una comicità veramente popolare mentre ogni possibilità di interpretazione simbolica viene affidata alle pantomime degli attori attraverso il tentativo di rappresentare il tema della vittima e del carnefice applicando una sorta di tecnica del mnemodramma alla Fersen.
La sintassi gestuale di Mimì e Cocò – interpretati da Paolo Mauro e da Graziella Spadafora in particolare stato di grazia – si rivela di grande godimento nella pantomima del cacciatore e dell’uccellino, in quella sui colori (“un colore rosso che tende al nero”) o sulla soppressata con un salumiere sadico e la sfida, per un vegetariano, di scavare nella sofferenza del maiale. E ancora un cavallo e un cavaliere, con citazioni shakespeariane – “C’è del marcio in Danimarca”, “Siamo fatti della stessa sostanza dei sogni” – incuneate di soppiatto, Parigi e un dittatore, la folla urlante, la ghigliottina; l’abat-jour felice (accesa) e infelice (spenta); l’omino disturbato nel sonno da una zanzara…
Un mix musicale accompagna il finale con gli attori, in bianchi abiti di scena, che rappresentano il loro spettacolo in un riproporsi identico di situazioni, immagini, azioni affidate, esclusivamente, alla loro prodigiosa gestualità.
Ma al di sotto di questa trama agita e non spiegata, Prove aperte è anche una lucida riflessione sul teatro, sulla possibilità di rappresentazione dove gli attori, sempre in esposizione, “creano lo spazio” e scrivono con il corpo, con la voce, con la luce, con i suoni, con i propri compagni. Da qui la necessità dell’utopia e di una visione del mondo da conquistare giorno per giorno con una lotta continua di cui l’arte attorica può essere, al contempo, simbolo e strumento.
Condotto continuamente fra esistenziale, reale e surreale, fra impellenza di una minaccia e quasi riluttante accettazione delle idee balzane di Carminuzzu, lo spettacolo crea una gioiosa atmosfera dove il gioco diventa l’antagonista della comicità. Pur divertendo moltissimo, la chiave dello spettacolo sta proprio nella grande serietà con cui si sviluppano i meccanismi della fantasia.
[Immagine di copertina: “Prove aperte”. Foto di Desme Digital