Cinema Il cine-occhio

Pieces of a Woman

Stefano Valva

Il primo film in lingua inglese – intitolato Pieces of a Woman e prodotto da Netflix – dell’autore ungherese Kornél Mundruczó è un’odissea della psiche, nello specifico della condizione mnemonica, durante un dolore immane da affrontare, ossia la perdita di una figlia subito dopo il parto. 

Questa è la struggente vicissitudine di Martha, una donna moderna, indipendente, che lavora, che convive con il compagno, e decide di partorire in casa, con l’aiuto di un’ostetrica di fiducia mandata da un’amica. 

La sequenza del parto rappresenta esplicitamente il prologo, trenta minuti di scene in interni estenuanti e caratterizzate dai long takes, ove il regista tramanda al pubblico la sua sensibilità verso la mise en scene teatrale e verso una visione più che analitica dei volti e delle emotività durante un momento topico dell’esistenza terrestre. Il prologo è permeato di ansia, di dolori fisici e di preoccupazioni, di incertezze e di cotante attesa, che assale inevitabilmente anche la visione dello spettatore. Già tale prima parte avvalora l’interpretazione in toto magistrale e positivamente sconvolgente di Vanessa Kirby – vincitrice della Coppa Volpi a Venezia77 – la quale, inoltre, riesce a raffigurare un personaggio tout court: dai momenti più empatici a quelli più riflessivi, fino a quelli più nevrotici, insofferenti e apatici. 

Dopo il corposo incipit, il film si evolve cercando di captare come una donna può metabolizzare, reagire o addirittura accettare una perdita, la quale crea inoltre una sorta di vortice della negatività: cominciano le incomprensioni e le accuse col compagno; l’asfissiante presenza della famiglia, che cerca di colpevolizzare e agire, in un momento nel quale i diretti interessati vorrebbero vivere nel dolore; la mancanza di stimoli e la consapevolezza che la vita non può essere solamente un tempo piatto quindi piena di ricorsi, perché sarebbe semplice dire che si avrà un altro figlio o che si ritroverà la serenità, eppure Martha entra in una depressione lancinante, che ti tiene stretta alla stessa pagina della storia della tua esistenza, senza fartela voltare per andare avanti. 

La temporalità viene esplicata – attraverso le date in sovrimpressione – come se la protagonista non stesse vivendo un periodo nefasto, bensì una nuova gravidanza, la quale stavolta è l’attesa di qualcosa che (purtroppo) non arriverà. Eppure, il regista non sconvolge lo stile della prima parte: continuano i piani sequenza, principalmente durante le scene in interni, durante i dialoghi e gli scontri tra i personaggi; la fotografia è caratterizzata da luci scure, opache, costituendo un ambiente tetro e fatiscente, che verrà stravolto solamente nell’epilogo; inquadrature periodiche sui volti, per soffermarsi il più che si può sulla sfera emotiva (ciò è una delle caratteristiche lampanti di film moderni che potremmo definire esistenzialisti, se pensiamo che Pieces of a Woman è vicino alla stilizzazione e ai temi di opere come quelle per esempio di Charlie Kaufman o di Noah Baumbach). 

Dopo tale disamina, molti penseranno che Pieces of a woman sia un film di e sul genere. Effettivamente lo è, eppure non è solo un’opera di genere, nel senso basata esclusivamente sul dolore di una donna sola, di una madre, durante un evento così negativamente singolare. È anche un film sul rapporto tra i generi, ossia sull’incomunicabilità puramente post-modernizzata tra l’uomo e la donna, tra i compagni di vita durante la convivenza – oggi istituzione e modus vivendi in crisi sociologica ed etica quasi quanto il matrimonio – i quali non riescono a viversi durante i periodi più negativi, perché nell’opera traspare una divisione, uno tsunami della sofferenza da affrontare unicamente in solitudine, senza appoggi e sfoghi, senza dialogo e conforto, senza purezza e umanità, quindi senza i capostipiti dell’amore stesso. 

La rottura tra i generi nel cinema contemporaneo è un tema altrettanto sensibile come altri, e riecheggia anche nella stessa filmografia di Mundruczò, quindi anche nell’ultima pellicola, che alcuni categorizzerebbero – in virtù di ciò – come femminista, il che è in primis corretto. D’altronde, qui il femminismo non viene inteso come supremazia sull’altro genere, o come ricerca di un’emancipazione verso una quotidianità che sia più che possibile indipendente, altresì si sottolinea il perché la procreazione è di natura esclusiva – o almeno nella maggior parte degli esseri viventi – della donna: per la sua forza innata di convivere con i dolori e allo stesso tempo alleviare quelli degli altri; per la dote spiccata di saper e voler ricominciare, così da dare priorità alla vita e non alla morte; per l’umanità nel voler perdonare, non solo condannare o cercare una semplice vendetta; infine, per come riesce ad assecondare ma anche pian piano ad allontanarsi dalle pulsioni dell’uomo, troppo preso anche in situazioni eccezionali dal non riuscire a vivere attraverso una routinaria superficie, ergo attraverso esigenze fisiche, ed anche attraverso una ricerca dell’affetto di una compagna, che egli tal volte vuole che sia come quello di una madre e non di una moglie. 

Pieces of a Woman è un film su uno spaccato importantissimo e delicato dell’esistenza, che trasmette e si riempie sia di malinconia che di riscatto, sia di dolore che di accettazione, sia di vita che di morte, sia di negatività che di positività, seguendo indirettamente un celebre aforisma: “c’è sempre il sole dopo la tempesta”. Tale epiteto – seppur sembri affascinante soltanto per la componente prosaica – in profondità è un mantra che la pellicola sposa, perché anche nei momenti più tenebrosi per la protagonista si intravede una speranza, un fascio di luce che convinca chi non riesce in quel momento a credere in niente, che prima o poi i mesi trascorreranno come la sabbia in una clessidra, e allora il tempo riuscirà a creare fisiologicamente altri stimoli, in virtù di un senso nuovo per la propria vita, in virtù di un’altra pagina da riempire. 


  • Diretto da: Kornél Mundruczó
  • Prodotto da: Kevin Turen, Ashley Levinson, Aaron Ryder
  • Scritto da: Kata Wéber
  • Protagonisti: Vanessa Kirby, Shia LaBoeuf, Molly Parker, Sarah Snook, Iliza Shlesinger, Benny Safdie, Jimmy Fails, Ellen Burstyn
  • Musiche di: Howard Shore
  • Fotografia di: Benjamin Loeb
  • Montato da: Dávid Jancsó
  • Distribuito da: Netflix
  • Casa di Produzione: Bron Studios, Little Lamb, Creative Wealth Media
  • Data di uscita: 04/09/2020 (Venezia), 30/12/2020 (USA), 07/01/2021 (Netflix)
  • Durata: 128 minuti
  • Paese: Canada, Stati Uniti
  • Lingua: Inglese

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