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‘Perché leggere i classici?’: la forza dei classici da Calvino a Eco secondo Davide Sacco

Roberta Leo

«Un classico è un libro che non ha mai finito di dire quello che ha da dire». Parole che restano impresse quelle dello scrittore Italo Calvino, estratte dal suo Perché leggere i classici, opera riproposta per forza comunicativa e attualità dal regista Davide Sacco al Napoli Teatro Festival Italia. Lo spettacolo, produzione Lunga Vita Factory, sarà in scena domani, sabato 4 luglio, alle 21 al Cortile delle Carrozze di Palazzo Reale di Napoli. Lo spettacolo verrà anche trasmesso in diretta streaming gratuitamente sulla piattaforma Ecosistema digitale per la cultura della Regione Campania (cultura.regione.campania.it/en/web/teatro/live) e sui canali radio e video di CRC (Radio CRC Targato Italia e sul Canale 620 del Digitale Terrestre) messi a disposizione dal NTFI.

In scena gli attori Francesco Montanari e Guglielmo Poggi dialogheranno sull’importanza di leggere i classici, tema del noto saggio di Italo Calvino, in quanto tracce di memoria e contenitori di valori universali. Abbiamo incontrato il regista Davide Sacco che, attraverso un format moderno e interattivo, ci ha spiegato come tali valori restino sempre attuabili e mai antichi, forse sopiti ma capaci, al minimo richiamo, di smuovere le coscienze comuni a qualsiasi epoca.

Il confronto con i classici è un tema sempre più discusso in questo momento storico di grandi cambiamenti e in cui il conflitto tra l’antico e il moderno è sempre più vivo. Come nasce l’idea del tuo spettacolo?

Partiamo dal presupposto di costruire progettualità teatrali che siano sempre oggetto di discussione in questo determinato momento. Il nostro modo di fare teatro cerca di andare incontro al pubblico, dialogare con esso, fornendo spunti e argomenti. Uno degli argomenti principali che ci ha spinto in questa direzione è quello della memoria, di ciò che resta, di ciò che si dimentica. Ci si interroga, ci si fanno delle domande e, in particolare, ci si chiede “che cosa è un classico?”. Ecco, il classico è un qualcosa che supera e oltrepassa il problema della memoria riuscendo ad arrivare fino ai giorni nostri. Entrano in gioco i valori dell’amore, del coraggio, della fragilità, della bellezza, della memoria, e tutto questo riesce a radicarsi.

Due fonti imponenti: Italo Calvino e Umberto Eco. Qual è stato il raffronto determinato sulla regia a questi due giganti?

Entrambi si pongono delle domande. E questo è molto bello. È un atto di coraggio. È un po’ come chiedersi perché continuiamo a leggere se ormai non lo fa quasi più nessuno, perché amiamo, perché andiamo a teatro, perché continuiamo a incontrare una persona a cui teniamo invece di sentirla semplicemente al telefono. Che valore hanno queste cose? In esse vi è l’essere umano, vi si riconoscono proteste, desideri di cambiamenti. L’incontro tra i due è stato quasi naturale.

Francesco Montanari, in scena con “Perché leggere i classici” al NTFI 2020

L’attualità del tuo lavoro si ritrova soprattutto nella presenza di Siri. Come giustifichi l’intervento e l’interazione di questa voce metallica e tecnologica?

Come in tutte le forme di spettacolo lo spazio è un cabaret inteso nel senso beckettiano o in quello politico di Viviani. Cerchiamo di usare tutti i mezzi che abbiamo a disposizione. Ne risulta un esperimento sociologico. Si segue la dinamica spazio-tempo-teatro-platea. Ciò comporta il bisogno di essere padroni del proprio tempo, cosa che purtroppo non accade più. Basti pensare al fatto che non si legge più perché il tempo è frammentario. Tutto è collegato a un grande discorso atemporale. Nessuno si permette di chiedere al tempo ciò che realmente vorrebbe. È sempre più difficile porre in essere una concezione illuministica del tempo.  Si ricerca quindi attraverso questo intervento una forma di teatro così moderna che sia equivalente a quella antica dei miti greci. E si dialoga così con il pubblico, con leggerezza.

Pensi sia possibile un ritorno ai valori classici? Si tratta certamente di valori universali, ma come potrebbero adattarsi ai nostri giorni?

Protesta, rivolta, amore, coscienza del sé: questi valori già sono qui, ma noi non riusciamo a vederli perché siamo presi da altre cose. Non si protesta più, non si rovescia la propria vita, si accetta tutto passivamente. Da quanto tempo non rivoltiamo la nostra vita? Cosa fa Medea se non protestare pur compiendo atti di assurda ferocia nel tentativo di sovvertire un ordine ingiusto? Come non definire una protesta l’intera opera di Pasolini. Non è forse un immenso atto d’amore anche quello di Romeo e Giulietta che pur risovendosi nel tragico pone un valore al di sopra delle convenzioni? Si tratta di slanci che appartengono al cuore, al nostro piccolo intimo ma che quando sopraggiungono sono capaci di smuovere interi oceani. Bisogna muovere l’anima, assecondare gli scismi del cuore in modo da provocare echi che non possono che risuonare in grandi cambiamenti.

Cosa resta di Calvino nell’opera di Davide Sacco?

Tutto resta e tutto non resta. Io incontro Calvino e Calvino incontra me, anche se a lui non so quanto possa far piacere! Tutto ciò che si mette in scena accade perché si vuole cambiare qualcosa nella nostra vita o perché già l’abbiamo cambiata. Il nostro intento è quello di smuovere fisicamente le spalle dello spettatore, di scrollare da esso qualsiasi pesantezza, rocciosità. Si resta basiti se c’è impossibilità di cambiamento. Allora torna in gioco quella verve, quell’energia e dinamismo che caratterizzano i due autori e che li fa incontrare in questo spettacolo. Ciò che accade in scena diventa un’azione interiore, che cerca di smuovere così come ti smuove la lettura di un testo sacro; si tenta di stimolare i neuroni specchio e di fare in modo che il divino diventi scritto e provochi una  rivoluzione

È di poche ore la notizia che in scena accanto a Francesco Montanari non ci sarà Gianmarco Saurino ma Guglielmo Poggi. Pur essendo entrambi molto bravi il tuo occhio registico come si è adattato a questo cambiamento?

Io vengo dalla musica quindi ho un rapporto “musicale” anche con chi lavoro. Il contrabbasso non può suonare allo stesso modo di un basso elettrico. Ognuno ha la sua “strumentalità”; pertanto, bisogna suonare nelle corde musicali del singolo strumento. Lavoriamo, non scriviamo, con gli attori. Entrambi gli attori sono bravissimi e la cosa interessante è riscontrare proprio la bellezza nella diversità.



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