“Perché ci sentiamo così attratti da quella voce?”: alla scoperta dei segreti della dizione con l’attrice e speaker Anna Guastafierro
Una formazione da attrice (con il David di Donatello Renato Carpentieri, e con il maestro d’accademia Michele Monetta), poi l’immersione nel mondo della radio (numerose le radio, locali e nazionali, cui ha prestato e presta tuttora la sua voce), l’accostamento a quello del doppiaggio: è Anna Guastafierro, originaria di Sarno (SA) ma nomade dentro – vive e lavora bazzicando tra Salerno, Roma e Milano – la protagonista di un progetto che noi di “Scene Contemporanee” abbiamo realizzato con il patrocinio del Comune di Amalfi, dove sabato 23 e domenica 24 giugno saremo ospiti presso il Salone Morelli per una due giorni di formazione. Amalfi, in provincia di Salerno, cittadina marittima, storica Repubblica Marinara, e oggi crocevia di turisti provenienti da ogni dove è un luogo che forse non avrebbe bisogno di presentazioni: basterebbe dire che i suoi scorci, di una bellezza rara, da togliere il fiato, rappresentano l’immaginario del paesaggio italiano nel mondo.
Anna Guastafierro porta così ad Amalfi “I colori della comunicazione – workshop intensivo di dizione e comunicazione espressiva” che già nel titolo allude a un format fresco e originale, che muta di segno i preconcetti sulla comunicazione vocale, affermandone la qualità “visiva” e sottolineando che le sue norme non sono poi tanto dissimili da quelle della pittura, in cui le combinazioni fra gradazioni cromatiche differenti possono produrre su una tela sensazioni di equilibrio e armonia oppure contrasti e dissonanze poco apprezzabili nella fruizione estetica.
A lei, che ha portato le sue competenze tecniche nell’arte e l’arte nel metodo di trasmissione dei saperi, perché il corso adotta un approccio ludico e multidisciplinare, abbiamo chiesto quale valore assumono oggi la voce e l’oralità, in un sistema che sembra favorire una comunicazione istantanea veicolata nel silenzio della parola scritta, e perché, in un certo senso, una buona dizione può significare anche più integrazione sociale.
Che cos’ha di particolare il tuo laboratorio “I colori della comunicazione” rispetto a un corso qualsiasi di dizione, come si svolge un “corso intensivo” come il tuo?
Capita a tutti di ascoltare i professionisti del mondo dei media e del doppiaggio, del cinema, che hanno fatto della voce uno strumento di lavoro. Attraverso l’ascolto degli esercizi particolari di imitazione della loro maniera di comunicazione si inizia a fare un’autoanalisi del nostro modo di comunicare. Ci siamo mai chiesti come mai ci siamo sentiti così attratti, rapiti, da quella voce? Nella prima ora di corso si inizia a entrare in questo mondo, cioè a capire che cosa rende una voce più bella e più armoniosa rispetto ad un’altra, ma non solo da un punto di vista della tecnica e della dizione, che sicuramente è l’ingrediente principale, ma anche per quel che riguarda l’utilizzo dei “colori”, del timbro, delle sonorità, dei volumi, dell’espressività. Questi aspetti si possono tutti imparare attraverso degli esercizi mirati e corali, ma soprattutto imparando prima a riconoscerli da chi ne ha fatto uso per la propria professione. È un corso che si differenzia dagli altri perché l’approccio è ludico, non ci si annoia facilmente. E un altro punto di forza del corso consiste nel fatto che gli esercizi mirati non provengono solo dalla dizione (anche se resta l’elemento principale, perché chiudere o aprire una vocale può rendere la comunicazione più armoniosa), ma provengono direttamente da questo viaggio multidisciplinare tra le varie forme artistiche: ad esempio il teatro, effettuando esercizi comunemente praticati dagli attori; il doppiaggio, con esercizi riservati ai doppiatori, e che quindi provengono dalla mia formazione; il canto, con esercizi di respirazione usati dai cantanti; e le tecniche radiofoniche, con testi veri che si usano in radio.
Quali risultati attendono i partecipanti?
Provando a immedesimarci in tutte queste professioni – attore, doppiatore, speaker, ma anche nei presentatori televisivi, nei video giornalisti – capiremo insieme, effettivamente, che cosa ci piace della nostra voce e che cosa non ci piace. E quindi, di quali esercizi avremmo bisogno per affinare il nostro modo di comunicare. L’obiettivo è infatti quello di affinare la comunicazione eliminando un po’ di inflessione locale, ma soprattutto rendendo più piacevole ed espressiva la nostra voce, partendo da un’autoanalisi attraverso le caratteristiche dei professionisti del settore. Tra i risultati, una maggiore percezione delle caratteristiche positive del proprio modo di comunicare e l’acquisizione di tutti gli strumenti validi per proseguire uno studio personale, per continuare a lavorare sulla propria voce, sull’espressività e sul linguaggio che si vuole raccontare.
La comunicazione oggi ha assunto un valore fortissimo. Il web, con la sua scrittura priva di “tono” e di carattere, porta spesso al fraintendimento del messaggio oppure all’eccessiva semplificazione (vedi le emoticon, le gif, i meme, ecc.). In questo panorama quale nuovo valore ha assunto l’oralità secondo te?
In virtù di quello che hai appena detto, credo che la riscoperta di una semplice comunicazione, bella, semplice e diretta possa aiutarci a comunicare bene chi siamo. Oggi è tanto semplice comunicare e anche tanto difficile, occorre imparare ad apprendere bene gli strumenti per raccontarci. Gli strumenti essenziali sono la voce e il corpo. La voce dice tutto di noi, ma soltanto se impariamo a usarla bene. E se preferiamo stare dietro a un computer o a uno smartphone è anche perché non abbiamo noi stessi consapevolezza del potere della nostra voce, del perché la voce sia in grado di dire qualcosa di interessante su di noi. L’analisi sul nostro modo di parlare ci può aiutare tantissimo a capire perché non riusciamo a dire le cose realmente come le pensiamo e preferiamo usare altri strumenti. L’autoanalisi ci può aiutare, quindi, a rispolverare la comunicazione più semplice, quella che utilizza gli strumenti di cui la natura ci ha fornito sin dalla nascita.
Se “l’abito non fa il monaco”, la dizione quindi ha qualche speranza?
Sicuramente sì. Un’altra finalità del corso è quella di livellare i nostri errori regionali. Non costruiremo una comunicazione meccanica, che segue con la freddezza della disciplina le regole della dizione, ma cercheremo di livellare i nostri errori cercando di rendere la nostra comunicazione armoniosa. I contatti nazionali e internazionali sono all’ordine del giorno: una dizione più pulita da regionalismi può consentirci di arricchire la comunicazione con la nostra personalità (colore, volume, tono), esprimendo qualcosa in più di noi stessi. Imparare la dizione è come imparare una nuova lingua di cui abbiamo una base comunque forte, senza che ciò significhi andare domani dal nostro salumiere e chiedere il pane in dizione.
A quali categorie di persone, tipi di professionisti, consiglieresti di fare il workshop?
Lo consiglio a chiunque, anche ai curiosi, non solo ai professionisti che usano la voce come principale strumento di lavoro. Lo consiglio a chi desideri imparare a comunicare meglio: sia a chi ha già una base tecnica di tipo artistico e sia a chi semplicemente vuole mettersi alla prova per capire che cosa potrebbe essere utile migliorare del proprio modo di parlare indipendentemente dall’interlocutore. A chiunque possa essere interessato a questo tipo di comprensione, che è come se fosse un percorso psicologico inerente alla voce. Non ci sono limiti tecnici, perché il corso anche nell’approccio resta leggero. Naturalmente, è fortemente consigliato a delle categorie più specifiche: attori, aspiranti attori, ai quali lo studio della dizione risulta indispensabile per migliorare la propria performance; professionisti, per esempio, come gli insegnanti scolastici, perché riuscire a indottrinare una pulizia nel modo di parlare può essere necessario quando si comunica con gli allievi; a commercianti, e a tutti i professionisti che hanno a che fare con un gran numero di persone facendo della voce un mezzo di lavoro non artistico; e a chi lavora, quindi, nell’ambito del turismo, perché ad Amalfi sicuramento sono moltissime le persone in contatto con turisti provenienti da altre parti di Italia, e comunicare in modo più armonioso può essere inteso come un sintomo di maggiore professionalità. Una comunicazione più pulita ci avvicina di più all’altro.
Perché?
Perché in qualche modo è come mettersi alla pari con l’altro. È come se io, parlando con mia nonna, volessi iniziare a parlare tedesco: mia nonna non mi capirebbe mai e probabilmente neanche se io usassi la lingua italiana come ce l’hanno insegnata a scuola; ma con lei so che devo cercare di usare il suo stesso dialetto stretto. Allo stesso modo, ci mettiamo allo stesso livello delle persone che abbiamo di fronte adattando la nostra lingua, e così possiamo creare con l’interlocutore un’affinità, recuperando una purezza della pronuncia che poi è riadattabile alle nostre esigenze, agli altri dialetti e alle altre lingue.
Tre motivi per cui iscriversi al workshop “I colori della comunicazione” ad Amalfi.
Senz’altro la location rientra in uno di questi motivi! Il primo: per trascorrere una due giorni immersi in una cornice meravigliosa e internazionale come la città di Amalfi; il secondo: per trascorrere delle ore piacevoli insieme ad altre persone cercando di migliorare il proprio modo di comunicare; il terzo: per mettersi alla prova in un gioco che attraversa le arti, facendo sì che questo possa fungere sia da hobby sia come l’occasione per portarsi a casa, dopo questi due giorni, qualcosa di grande e arricchente.
Per info e iscrizioni – entro le ore 19.00 del 21 giugno – scriveteci a renata.savo@scenecontemporanee.it