Patrizio Cigliano // A Cuore Aperto
Al Roma Fringe Festival è andato in scena lo spettacolo di Patrizio Cigliano, dal titolo A Cuore Aperto, nella suggestiva sede di Villa Mercede
Tra strade asfaltata d’immondizia, autisti scontrosi, metro come carri bestiame, teatri che rischiano lo sfratto e altri che provano a far capire, a chi capir non vuole, il concetto ancestrale di bene comune, lo spazio di Villa Mercede nel quartiere San Lorenzo ci appare come una piccola oasi di tregua, un cantiere di esperimenti ed esperienze teatrali da consumarsi tra una fermata ai mercatini vintage e una birra all’aperto.
Sono le 23.30, tre spettacoli, gli ultimi della serata, stanno per andare in scena sui tre palchi del Roma Fringe Festival allestiti all’interno della villa. Provo a far ricadere la scelta su qualcosa che tenga viva l’attenzione. Non rischio, vado sul sicuro e scelgo A cuore Aperto di Patrizio Cigliano, un cult del teatro off, così viene definito dai critici e dallo stesso regista; un artista che ama giocare con i numeri e sul comunicato stampa non esita a ricordarci che il suo è uno spettacolo autoprodotto, che resiste sulla scena da ben 10 anni e per ben 12 edizioni, per un totale complessivo di 300 repliche e 7000 spettatori. Tutti dati che a quest’ora fanno un po’ girar la testa ma appaiono tutto sommato rassicuranti e convincenti. Certa di stare per assistere ad un capolavoro, con qualche punto di domanda sul perché un cult del teatro off sia in mostra alla vetrina del Fringe romano che per antonomasia dovrebbe dare spazio a nuove proposte, incuriosita e pronta a commuovermi anch’io, come, si racconta, fece Arnaldo Foà dopo aver assistito allo spettacolo, provo a lasciarmi guidare dalla piece. Maria e Giuseppe sono due ottantenni, interpretati però da due giovani attori, Giorgia Palmucci e Cristiano Priori, che fanno un salto indietro nel tempo e ripercorrono la loro vita insieme, il loro amore che ha resistito alla guerra e che intende sopravvivere alla vecchiaia e alla morte. Maria infatti sta morendo e lo farà a mezzogiorno in punto. I due hanno solo due minuti per dirsi addio attraversando i luoghi della memoria e continuando a dedicarsi amorevolmente l’uno all’altra. Niente di più e niente di meno, è A cuore aperto. Una figlia appena accennata, Chicca, che intuiamo non abbia mai avuto un buon rapporto con la madre e la purezza e il candore di un amore che Patrizio Cigliano vuole etichettare come l’amore perfetto a cui tutti aspirano, un amore che continuerà ad esister anche dopo la morte. Gli oggetti scenici e i costumi mirano a sottolineare i suddetti candore e purezza: il bianco delle vesti, l’acqua utilizzata per lavarsi i capelli e farsi la barba in uno scambio, atto d’amore per cui ci si prende cura l’uno dell’altra e infine la mela, espediente di racconto, oggetto biblico come i nomi dei nostri due protagonisti che rimandano ancora una volta a quell’amore puro e purificatore. In chiusura la voce fuori campo di Arnaldo Foà e quella di Maria Rosaria Omaggio evocano quelle dei due personaggi impegnati a stringersi nell’ultimo abbraccio e poi il vuoto di un applauso perplesso.
Un linguaggio semplice e disarmante che non emoziona ma lascia attoniti di fronte alle aspettative. Nessuna complicità tra i due attori in scena che appaiono emotivamente distanti, poca forza evocativa delle parole che non attecchiscono ma sfumano via nella banalità. Eppure com’è possibile che questo testo sia stato così acclamato e blasonato? Che pretenda di ritrarre un secolo di storia d’Italia (parole estratte dal comunicato stampa) sfiorandolo appena? Colpa dei due attori, diversi per ogni nuova edizione, colpa della regia, dell’allestimento o della drammaturgia che è stata ridotta all’osso risultando povera di spunti narrativi e fragile rispetto alla versione originale, riproposta in un duplice adattamento, in forma di dialogo e monologo, questo stesso inverno presso il Teatro dell’Orologio dove Cigliano è di casa? Certo, il palcoscenico del Fringe non è per fattezze e possibilità quello di un convenzionale spazio teatrale, ma questo non è un motivo valido per crogiolarsi su una rassegna stampa di tutto rispetto, risalente alle passate edizioni, e presentare uno spettacolo monco, che dimentica di portare in scena l’amore, la poesia che tanto ha decantato, e non mantiene la promessa fatta di strappare il cuore allo spettatore.