Padrenostro
1976. L’Italia sta attraversando uno dei periodi interni più violenti e caotici. In seguito tali anni verranno chiamati di “piombo”, proprio perché caratterizzati dall’ascesa della criminalità organizzata, del brigantaggio locale e del terrorismo delle ideologie estremiste. Proprio il terrorismo, è un aspetto che condiziona la storia nel microcosmo di Padrenostro, il terzo lungometraggio del regista Claudio Noce (presentato a Venezia77), molto personale, poiché basato su una vicenda di cronaca che ha colpito proprio la famiglia del cineasta, ossia il padre e giudice Alfonso Noce, vittima di un attentato nel dicembre del 1976 da parte dei Nuclei Armati Proletari, che lo costrinse ad una delicata operazione chirurgica.
Noce crea degli alter-ego, che si ispirano alla storia vera, perché il protagonista Valerio non è altro che l’archetipo del fratello dell’autore, quindi di come egli subì il trauma, che destabilizzò il contesto familiare. L’opera è costruita secondo il punto di vista di un bambino, perciò lo spettatore non riesce ad avere dei fatti e delle vicende una conoscenza oggettiva, bensì una invece soggettiva, ove vede quello che il personaggio riesce a vedere, percepisce quello che lui percepisce nell’ambiente e nelle persone, addirittura immagina insieme a lui un’altra realtà, una dimensione a tratti onirica, apparentemente surreale.
Su quest’ultima riflessione, basti pensare al tema dell’amico immaginario, che diviene una chiave di lettura del film interessante, ai fini della metabolizzazione e/o superamento del trauma: Perché la vicenda psicologica, che sta dietro ed è subito successiva ad un evento eccezionale e/o sorprendente – in tal caso in negativo – attraversa varie fasi, varie cristallizzazioni che si susseguono, ove il surreale se inizialmente viene inteso come tale, pian piano diviene così vivido da affiancarsi alla reale quotidianità, e ad essere assecondato da chi inizialmente lo ripudiava e lo riteneva insensato.
Ogni singola inquadratura, ogni singola gestione del tempo e del ritmo, seguono le sensazioni emotive di Valerio: dai primissimi piani verso gli occhi sofferenti, passando per gli slow-motion durante la scena dell’attentato o quando arrivano gli attacchi di panico, fino alle carrellate nel corso delle fughe in bicicletta, ove la camera segue meticolosamente il movimento del protagonista.
Due temi emergono più di altri: il rapporto padre – figlio e l’amicizia. Il primo è complicato ma allo stesso tempo fortemente affettivo, con un padre costretto per lavoro a stare spesso lontano dalla famiglia, e tenta in ogni modo di essere un buon genitore, quando è presente in casa, riempendo di attenzioni i figli; d’altronde, trascura la condizione psicologica di Valerio (perché non basta come spesso si crede un regalo, che sia anche il pallone col quale ha giocato di domenica la Lazio, firmato da Chinaglia), la ridicolizza perché non la comprende. Su ciò, bisogna considerare il fatto che ogni persona metabolizza a modo suo un rispettivo trauma, in base a come lo vive e a come cerca di affrontarlo. Sulle vicissitudini umane in famiglia, ci pensa poi l’interpretazione solida di Pier Francesco Favino (vincitore della coppa Volpi a Venezia77) per dare una raffigurazione tout court di un personaggio complesso, tutto d’un pezzo, ma anch’egli fragile e condizionato da un periodo per sé e per gli altri nefasto, non riuscendo in ogni momento ad avere quella forza emotiva e morale, che la figura del padre dovrebbe mantenere.
C’è come detto l’amicizia, quella che si instaura tra Valerio ed un ragazzino adolescente, ossia Christian, che diviene dopo la tragedia una sorta di deus ex machina, quella figura paterna che in quel momento gli manca, per dimenticarsi e mettersi alle spalle un evento, che psicologicamente gli condizionerà l’esistenza.
L’amicizia con Christian diviene un supporto, un pilastro ove potersi sentire al sicuro dalle piogge torrenziali di ansia, di paura, di preoccupazioni, di paranoia, di accennata depressione.
Bastano queste scelte e un’oculata gestione dei temi a far divenire Padrenostro un film profondo, delicato, toccante, tralasciando tutte le componenti politiche, sociali e storiografiche, che fungono solamente da contorno, anzi da espedienti, ove sottolineare un percorso di trauma nella psiche di un ragazzino indifeso e dal carattere fragile, che è in procinto di essere assalito da una valanga di neve, senza sapere come sfuggirne.
A Noce non interessa l’evento in sé, non interessa il dramma dell’immagine-azione, o la commemorazione di chi ha subito una situazione tragica, bensì gli sta a cuore come quell’evento smuove l’ambiente, ossia tutti quelli che in un modo o nell’altro l’hanno vissuto e l’hanno sentito, come viene percepito da una piccola creatura, come quell’evento muta la mentalità e il carattere di un’intera generazione.
In fondo un evento tragico scatena proprio questo: una malvagità ed una tristezza latenti, che si ripercuotono a livello fisico e a livello mnemonico, su tutte le persone, che in qualche maniera sono stati partecipanti attivi o passivi di tale avvenimento, e che provano per la prima volta delle emozioni così incontrollabili, da destabilizzarli costantemente.
E quindi come ci si salva da un trauma? Entrano in gioco di nuovo l’immaginazione – sotto forma cinematografica delle immagini-cristallo, comprensibili in gran parte, eppure non del tutto al pubblico nell’epilogo – l’amicizia, la fuga momentanea, il mantenimento degli affetti paterni, attraverso la comprensione delle persone più care, il quale è un processo tanto fisiologico, quanto complicato da applicare, pure in famiglia.
Padrenostro infine, è un’opera che fa riflettere diversamente sulla natura degli stessi traumi, non solo in base al fatto di come essi nascono e si sviluppano nella mente di un minorenne (spesso fin troppo sottovalutata dagli adulti, poiché viene dimenticata una profonda sensibilità ed intuizione, che i bambini innatamente possiedono), ma anche sul cosa significa superamento dei traumi, che non deve essere superficialmente inteso come annullamento o come mettersi qualcosa alle spalle, bensì come eterno contrasto, ergo erigere una difesa contro i terrori e le paranoie inconsce.
Allora la solitudine è la più grande amica della traumatologia – qui intesa come prettamente psicologica – ai fini del disfacimento dell’Io. Se l’unione fa la forza, allora i rapporti empatici, familiari, la condivisione di esperienze e vicissitudini similari, sono delle armi concrete contro una quotidianità, che in svariati casi può essere straziante. Visibile e non visibile, reale e surreale, percezione e azione si intrecciano in un tutt’uno, perché se l’uomo può e sa crearsi un immaginario (ed il cinema è la dimostrazione per immagini più sintetica e affascinante che ci sia, per esteriorizzare tale funzione mnemonica) allora che lo si lasci libero di agire: “se qualcosa sta accadendo nella tua testa, dovrebbe voler dire che non è vero?”.
- Diretto da: Claudio Noce
- Prodotto da: Andrea Calbucci, Pierfrancesco Favino, Maurizio Piazza
- Scritto da: Claudio Noce, Enrico Audennio
- Protagonisti: Pierfrancesco Favino, Barbara Ronchi, Mattia Garaci, Francesco Gheghi
- Musiche di: Ratchev & Carratello
- Fotografia di: Michele D'Attanasio
- Montato da: Giogiò Franchini
- Distribuito da: Vision Distribution
- Casa di Produzione: Lungta Film, PKO Cinema & Co., Tendercapital Productions, Vision Distribution
- Data di uscita: 04/09/2020 (Venezia), 24/09/2020 (Italia)
- Durata: 120 minuti
- Paese: Italia
- Lingua: Italiano