Musica Nuove Uscite

Nick Cave and The Bad Seeds – Skeleton Tree

Maria Ponticelli

You fell from the sky, crash landed in a field, near the river Adur

Con le parole di “Jesus alone” Nick Cave presenta il suo ultimo album “Skeleton Tree” e sebbene il disco sia stato concepito prima del grave lutto che ha colpito l’artista – la tragica scomparsa del figlio quindicenne Arthur precipitato da una scogliera nel luglio del 2015 – risulta difficile non ricondurre tali parole ad uno stato di dolore totalizzante che solo un evento del genere può provocare. Tuttavia, anche quest’ultimo album non devia in realtà da ciò che il cantautore insieme ai Bad Seeds ha lasciato come propria impronta digitale nel panorama rock degli ultimi anni. Certo è però che il Cave dei Birthday Party, protagonista delle vicende più estreme del post-punk fino a diventarne antologia insieme alla sua band, ma anche il Cave autore di performance trasgressive ai limiti della liceità, traccia col tempo un percorso esplorativo nella sperimentazione attraverso incursioni nella new wave e nel gothic rock fino ad arrivare in tempi più recenti ad un lavoro di ricerca profonda di significati legati all’esistenza – o meglio all’angoscia esistenziale – e che indagano in particolare la sfera spirituale.

La ricerca di Dio è una costante nella produzione di Nick Cave anche se questa assume connotati del tutto personali, non convenzionali e traducibili solo alla luce del passato e dell’identità dell’artista il quale permea testi e musica di significati escatologici quando non apocalittici. Dio, la morte, la maledetta esistenza, la sofferenza , la vita, sono tutti elementi riconducibili alla poetica del cantautore australiano ma stavolta nelle sole otto tracce della sua ultima creatura non c’è nulla di semplice nulla che ci si potesse aspettare, non ci sono “aggiunte”, Cave agisce piuttosto per sottrazione fino a quando l’ultima cosa che resta diventa l’essenza e nulla più. In Skeleton tree si avverte qualcosa di profondo e indelebile, una sensazione che non molla l’ascoltatore nemmeno quando il disco finisce i suoi giri.

Skeleton tree è dunque un brivido. Un brivido lungo quasi 40 minuti, atmosfere sospese, loop sinistri accompagnano quello che è si un album in perfetto stile Cave, stella nera del rock, ma che stavolta arriva alle orecchie come un autentico de profundis o, quantomeno, come un tentativo di catarsi.

“With my voice I’m calling you (…) let us sit together in the dark until the moment comes”

L’invocazione all’intervento di un’entità distante dall’uomo eppure presente, necessaria, è uno spasmo che sfugge a qualsiasi volontà di poterla razionalizzare e non incontra alcuna resistenza nell’atmosfera scura ed intima di quest’album. L’incedere dei brani è dettato da un recitato che sgrana i versi come in un flusso di coscienza, così come in “ Girl in Amber” in contrasto con l’immagine di fissità che intende comunicare – Girl in amber trapped forever” –   una ragazza fossilizzata nel tempo e nel dolore, lo stesso dolore che il cantautore sembra condividere:

“I used to think that when you died you kind of wandered the world

In a slumber til your crumbled were absorbed into the earth

Well, I don’t think that any more (…) “

Di  tanto in tanto il sound di quest’album, per nulla scontato, in grado di arrampicarsi come un’ edera intorno alle emozioni di Cave e che da esse si fa guidare, apre a brevi  spiragli melodici o a interventi cadenzati da suoni psichedelici di un sintetizzatore come in “Magneto” o ancora a ritmi quasi estemporanei che si alternano ai piatti di una batteria ed ai tasti di un pianoforte senza tralasciare sinistre escursioni sonore. “I need you” è una splendida marcia di dolore dove il cantautore piange i versi di un brano che  palesa l’immagine della vita in una veste rossa e con gli occhi bassi mentre una lunga auto nera aspetta per portarla via, così – “Nothing really matters, when the one you love is gone (…) I’ll miss you when you’re gone away forever” –  sono preludio ad un mantra “I need you” che è la confessione che rompe gli argini. “Distant Sky” è quindi il brano che sembra distendere l’atmosfera dell’intero disco attraverso l’intreccio della voce di Cave con una femminile,  decisamente onirica, una eco lontana.  In realtà il pezzo racconta la disillusione, la scoperta dell’uomo che sgrana gli occhi sulla propria fragilità, sulla bugia dell’ immortalità.

È “Skeleton Tree” il brano àncora dell’album; esso chiude un discorso che, pur mettendosi in linea con la storia creativa dell’artista, si rivela come un’ urgenza e che pertanto chiede alla musica di essere assecondata. Così la title track ci tira fuori fuori dalla spirale, in “skeleton tree” un piano ed una chitarra servono la voce baritonale di Cave che a questo punto si apre senza strette alla gola:

“And I called out, I called out

 Right across the sea

 I called out, I called out

 That nothing is for free

And it’s alright now.”

 

L’albero scheletrico, fatto di ossa è l’immagine di ciò che rimane una volta cadute le foglie, eppure stà lì nella sua statura, sorretto da radici ancora vive e con le braccia allungate verso il cielo.

Questo incontro di mancanza e presenza e l’assenza stessa come presenza inamovibile e stringente fanno si che in quest’album la musica arrivi come un mantello a coprire le ferite aperte per dar ragione della loro profondità ma anche per tracciare una strada per il ritorno.

”Tutto ha il suo prezzo e va tutto bene ora”.



Una selezione delle notizie, delle recensioni, degli eventi da scenecontemporanee, direttamente sulla tua email. Iscriviti alla newsletter.

Autorizzo il trattamento dei dati personali Iscriviti