Musica Nuove Uscite

Amerigo Verardi – Hippie Dixit

Carmen Navarra

La musica indie, definizione in cui si muove gran parte del cantautorato italiano contemporaneo, trova in Amerigo Verardi uno storico interprete, anche se il suo ‘sound’ non è facilmente etichettabile e sarebbe riduttivo darne un’unica connotazione.

A trent’anni dall’esordio, il musicista rock, indipendente e psichedelico, la cui natura artistica è stata caratterizzata da uno strutturato attivismo sociale, lancia Hippie dixit. Il titolo – un sagace calembour – è un elemento già di per sé bastante a destare curiosità nell’ascoltatore. La ‘massima’ latina viene rovesciata e mutata: non è più un imprecisato ‘ipse’ a dire – a cantare – bensì una determinata categoria, i sedicenti hippie, seguaci di quel rock psichedelico di cui lo stesso Verardi fa le veci. Tutto quanto il cantautore decide di raccontare in questo disco non prescinde dal ‘bagaglio’ artistico maturato a partire dagli anni ’80; a tal proposito si ricorda che Verardi è stato fondatore degli Allison Run, dei Lula, dei Betty’s Blues, dei Lotus e dei The Freex, ma anche produttore del primo album dei Baustelle, Sussidiario illustrato della giovinezza (2000) nonché del terzo lavoro dei Virginiana Miller, La verità sul tennis (2003). Nello stesso Hippie dixit si avvale della collaborazione di Marco Ancona, iniziata nel 2010 (Bootleg – Oliando la macchina Live Tour) e proseguita nel 2012 (Il diavolo sta nei dettagli).

Il lavoro corrente è un’opera prolissa: si tratta di un doppio album, contenente 14 tracce, di cui la maggior parte ha una durata che oscilla tra gli 8 e i 10 minuti e che, vista la struttura, non appare sempre scorrevole e digeribile. Anzi: si ha l’impressione di perdersi nel mare magnum di tematiche trattate in modo criptico (il linguaggio, a volte assai ostico, non aiuta ad interpretare in modo puntuale il contenuto dei pezzi). Molto mirata è stata la scelta del primo singolo, Brindisi (ai terminali della via Appia), laddove nella parola ‘brindisi’ è contenuto un riferimento duplice: alla città natale del musicista e al gesto augurale solitamente affiancato dall’innalzamento di un calice; dietro un sound orecchiabile e fresco, si nasconde una tematica scottante, quella della morte per avvelenamento da sostanze tossiche, che si diffonde perlopiù in Puglia (soprattutto Brindisi, Taranto e Cerano), dilaniata dall’inquinamento ambientale (grappoli appesi ai rami avvelenati//una frase monca su un muro dice ‘qui si muore di’//cin cin, bollicine, un calice e una fetta di cancro). Anche la tematica amorosa attraversa, seppur di striscio, questo disco: è il caso della tamburellante e gioiosa Innocenza in cui l’esaltazione della genuinità trova compimento in versi assai poetici (per amarti come il primo giorno//sopra un foglietto scritto in bella//tu che negli occhi hai un diario che brilla//dove leggo chiaro tutto ciò che sei). Più ombrose, per sound e testi, appaiono Chiarezza e L’uomo di Tangeri; un tono di denuncia verso un ‘tu’ vigliacco (e presumibilmente, per estensione, verso una società altrettanto inattiva) acquisisce Pietra al collo, che presenta un sound aggressivo (le paure di fallire, di non riuscire a dimostrare//e le paure di affrontare i mostri che non vuoi vedere).

Nonostante una vena cantautorale molto spesso ermetica e non sempre arrivabile, dall’ascolto del disco emerge lampante il talento polistrumentista di Verardi che si diletta alle chitarre synth ed acustiche, agli xilofoni e ai mandolini, alla cetra e alle percussioni. Questa caratteristica – però – non riesce ad oscurare i ‘difetti’ del disco, che resta sostanzialmente dispersivo e contorto.



Una selezione delle notizie, delle recensioni, degli eventi da scenecontemporanee, direttamente sulla tua email. Iscriviti alla newsletter.

Autorizzo il trattamento dei dati personali Iscriviti