Notturno
Notturno è un titolo che semanticamente preannuncia qualcosa di oscuro, tetro, sfocato, tenebroso. Ed è proprio così il nuovo documentario di Gianfranco Rosi, presentato in anteprima al 77° Festival di Venezia. Il regista gioca molto con l’oscurità, con una fotografia che esalta il decoupage come se fosse un dipinto impressionista (e a volte vicino anche alla costruzione della luce dell’espressionismo tedesco), ambienti notturni appunto, che si contrappongono ad una piccola luce che contrasta per tutto il film tale oscurità, e che può rappresentare chissà la speranza di una popolazione – quella medio orientale – attorniata dalle guerre, dalla fame e dalla disperazione, eppure mai totalmente abbandonata dall’idea di immaginare una vita migliore.
Il viaggio angosciante di Rosi si smuove tra confini nazionali sensibilissimi nell’era moderna sotto l’aspetto politico: Iraq, Iran, Kurdistan, Siria, Libano, le quali sono una presenza quotidiana nei TG che vediamo e ascoltiamo costantemente. Tal volta le notizie sembrano sfacciatamente naturali, perché ormai ci si è abituati a categorizzare tali luoghi e a non sorprendersi che essi siano ormai sinonimi di tumulti, di violenza, di continue mutazioni sociali.
Eppure gli occidentali (più di tutti), dimenticano che come in un sandwich, Isis, America ed altri schiacciano l’ingrediente principale nel mezzo, ossia la popolazione, colpita dalla morte, dalla perdita dei propri cari, dalla distruzione di una casa o di qualsiasi cosa gli stia a cuore. Le conseguenze di tali dinamiche sono a discapito loro, ed un regista sensibile come Rosi lo sa, quindi le inquadrature in primi piani e in campi medi sono rivolte proprio verso persone comuni (che siano donne, bambini, ragazzi), non solo descrivendo semplici azioni quotidiane (la pesca notturna del contadino con la canoa sul fiume, apparentemente tranquilla, ma allo stesso tempo poco distante dai luoghi della morte), ma anche eventi chiave (un omicidio importante, un’invasione improvvisa, sprazzi di guerra civile per il controllo del territorio), e momenti puramente intimi (un dialogo anche con mezzi digitali contemporanei con figli introvabili o rapiti, la terapia per i bambini vittime di violenze o abusi, le famiglie numerose tra la povertà, ma anche con una sorprendente condivisione delle necessità primarie).
Pertanto non si può considerare Notturno un reportage, o una narrazione didascalica sugli eventi importanti della questione medio orientale (possibili protagonisti come gli americani o l’Isis vengono intravisti, sono delle figure da villain oscure, dei fantasmi pronti a colpire da un momento all’altro), bensì è una visione puramente umana e umanizzata di quei posti, sotto un altro occhio, ossia di quello di chi subisce la situazione, non di chi la crea o la pubblicizza ai media secondo un rispettivo e conveniente punto di vista.
Rosi non approfondisce né propagande politiche, né comunicazioni sociali, né pubblicizzazione di temi sensibili – le questioni prettamente giornalistiche vengono pressappoco tralasciate – si concentra invece sugli sguardi, sugli occhi, sulle sensazioni, sulle conversazioni, e sul come una comunità è costretta a metabolizzare uno stile di vita che si protrae da secoli, quindi non solo nei tempi moderni (dopo l’11 settembre 2001).
Inoltre, divengono un’affascinante sfumatura la componente meta-cinematografica e meta-teatrale del documentario, le quali danno una duttilità alla narrazione, non lasciandola scadere nel racconto semplicistico o in sequenze puramente didascaliche. Attraverso l’arte applicata anche da non professionisti, o da aspiranti attori, la recitazione nella recitazione è un mezzo per sfogare insofferenze, per denunciare ingiustizie, per mostrare allo spettatore la vera situazione del contesto paesaggistico, che egli ammira per tutta l’opera.
E poi la citata fotografia, la componente più stilosa e funzionale della forma cinematografica di questa pellicola (gestita stesso da Rosi), attraverso delle luci principalmente scure e naturali, che immedesimano il pubblico in sala nella tenebrosità latente della società orientale, nella quale nemmeno il silenzio della notte limpida, perennemente estiva, frena il rumore – in sottofondo ma presente – degli spari, delle lotte, della violenza, che fanno sembrare quelle lande un po’ come New York, perché esse non dormono mai, seppur non a causa dello sfarzo, ma per motivazioni unicamente drammatiche.
Rosi ritorna alla sensibilità sociale mostrata in Fuocoammare, dando voce a chi viene poche volte ascoltato, a chi è poco conosciuto, a chi è poco considerato, a chi sia politica, sia giornali, sia opinione pubblica rimuovono costantemente dalla memoria di massa.
Quindi ogni elemento, che sia visivo, che sia narrativo, o che sia puramente tecnico/estetico, è come un pezzo da inserire in un grande puzzle, che vada a rappresentare un’opera a tratti neo-realista (sottolineando che il neorealismo italiano seppur artefice della verosimiglianza nel cinema, per dirla alla Hitchcock, aveva per svariati motivi una forte artisticità). Perché dopo la visione di Notturno, non avremo una chiara conoscenza politica delle questioni medio orientali, o una colta conoscenza economica, finanziaria, storica, avremo prettamente un’esperienza sociale e psicologica (come succede in parte in Hammamet di Gianni Amelio, in relazione alla storia di Bettino Craxi), un’analisi psicoanalitica su persone esistenti, realmente succube del contesto, eppure senza mai comprendere a pieno l’immane sofferenza che comporta un mondo simile.
In fondo, ciò dovrebbe essere (in parte) l’obiettivo di un documentario, ossia essere la fotocopia della vita, coinvolto, immedesimato nella realtà sociale, per trasmettere situazioni verosimili allo spettatore, invece i personaggi del Notturno di Rosi hanno come un’estrema tranquillità nell’accettare determinate azioni, che li rende quasi surreali ai nostri occhi, solo perché non riusciamo a comprendere il fatto che sono inermi, quindi degli inetti così abituati al proprio vissuto, da considerarlo quasi normale, quasi fisiologico, come una classica quotidianità.
Forse quello è il male più grande che creano le lotte di potere, gli interessi politici ed economici, la logica delle guerre, ossia il loro divenire puramente naturali, come dare il buongiorno al mattino ad una persona cara, divenire inoltre così presenti nella socialità da esserne parte integrante, e non qualcosa che sia logicamente da contrastare e/o debellare.
Nonostante ciò, in un contesto disarmante, ogni scena dark ha una piccola e distintiva luce (non l’archetipica verde speranza come ne Il Grande Gatsby o quella da scontro fantasy come nella trilogia de Il Signore degli anelli), naturale come quella del sole splendente – caratteristico delle lande medio orientali – nelle sequenze diurne. E allora non resta che abbattere quella banalità del male enfatizzata da Hannah Arendt, perché appena la malvagità non la si considererà più banale, quello è logicamente il primo passo, per la costruzione di una società forse migliore, sicuramente diversa (Orwell ci ha insegnato che i buoni propositi, non sempre divengono alla lunga ottime civiltà), solo geograficamente lontana da noi, perché con Notturno entra senza dubbio nella sfera emotiva di tutti.
- Diretto da: Gianfranco Rosi
- Prodotto da: Donatella Palermo, Paolo Del Brocco, Gianfranco Rosi, Serge Lalou, Camille Laemlé, Orwa Nyrabia, Eva-Maria Weerts
- Scritto da: Gianfranco Rosi
- Fotografia di: Gianfranco Rosi
- Montato da: Jacopo Quadri
- Distribuito da: 01 Distribution (Italia), Météore Films (Francia)
- Casa di Produzione: 21 Unofilm, Stemal Entertainment, Rai Cinema, Les Films d'Ici, Arte France Cinéma, No Nation Films, Mizzi Stock Entertainment
- Data di uscita: 08/09/2020 (Venezia), 09/09/2020 (Italia), 03/02/2021 (Francia)
- Durata: 100 minuti
- Paese: Italia, Francia, Germania
- Lingua: Arabo