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Il Neorealismo milanese negli scatti di Nino De Pietro

Carmen Navarra

La Fondazione Luciana Matalon, nata da un’idea dell’omonima artista milanese scomparsa nel 2015, è da anni uno dei centri propulsori di arte contemporanea per il capoluogo lombardo. Si occupa, infatti, di portare alla conoscenza del pubblico una serie di artisti di rilievo del panorama nazionale e internazionale. È da annoverare in questa cerchia il fotografo Nino De Pietro, milanese doc, il quale ha fotografato la Milano – perlopiù periferica – dagli anni ’50 agli anni ’80, un trentennio ricco di cambiamenti impressi dalla sua fedelissima Leica. Recentemente, proprio presso la Fondazione sono stati esposti molti dei suoi scatti più autentici, caratterizzati da una forte impronta neorealista di matrice viscontiana, rosselliniana, pasoliniana, dove al bianco e nero si alterna il multicolor, creando effetti diversi sulla sensibilità dello spettatore: si dà spazio ora alla malinconia, ora alla speranza, provocate entrambe dal ricordo di quegli anni o dall’abbandono cui erano irrimediabilmente destinate le periferie. Fotografie che rappresentano schegge – il titolo della mostra, appunto, Schegge di periferia – di vite rubate alla difficoltosa quotidianità retrostante, di una guerra incipiente oppure appena conclusasi; ci sono emigranti che camminano nella squallida periferia che si perde nella vastità addormentata, i cui volti portano il peso di giorni senza sole; cani in corsa che si liberano dalla loro “prigionia” periferica; sbuffi di treni e lavandaie laboriose che sfidano l’inverno della città innevata.

La fotografia di Nino De Pietro sembra anche farsi portavoce, tra le righe, di una certa denuncia sociale, supportata da messaggi politici. In Clochard Bedroom, per esempio, vi è la rappresentazione della “casa” di un senzatetto: uno scatolone campeggia nella desolata campagna lombarda. Viene, inoltre, celebrata la Resistenza italiana dei cosiddetti writer ante-litteram come Carlo Torrighelli: Nel clero esistono impianti a onde, che torturano, rovinano e uccidono da lontano o slogan ancora più incisivi come Se resteremo uniti, vinceremo. Lo sguardo di un fotografo, però, cerca la stratificazione: non mancano, di fatto, omaggi a Mario Sironi, ritratti di suoi amici attori (Piero Mazzarella), interni di case scrostate con quel che resta di dipinti religiosi, le cascine lungo il Naviglio Grande, i ritrovi serali dello svago milanese – la Trattoria del Risveglio – e la tenerezza scaturita dalla baldanza e dall’insolenza puerili che guardano all’obiettivo tra le chiuse finestre.
Sbirciare nelle storie di ieri, per dirla con De Gregori, sottende sempre l’invito a guardarci intorno, per cogliere le trasformazioni di una città e delle sue epoche, figlie imprescindibili di un passato che continua a costruire il presente.



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