Nell’emergenza, l’importanza del “pensiero” per la danza: intervista a Diana Ferrara
Diana Ferrara, già étoile del Teatro dell’Opera e da ben trentacinque anni direttrice artistica della compagnia Astra Roma Ballet, ci parla della danza ai tempi della pandemia e di come i giovani tersicorei stanno affrontando questo momento; riflette sul binomio danza e distanza, danza e virtualità, pensiero e fisicità, ma, soprattutto, sul valore dell’arte coreutica per il nostro Paese e la nostra identità culturale.
La compagnia Astra Roma Ballet è una compagnia composta da giovanissimi danzatori. Come stanno fronteggiando l’emergenza Covid-19 e qual è il loro atteggiamento nei suoi confronti?
I giovani sono “liberi” per natura. Sono passati dall’essere completamente sciolti alla reclusione. Adesso sono stati costretti a cambiare il modo non solo di danzare, ma anche di pensare. I danzatori dell’Astra Roma Ballet sono giovanissimi e molti di loro si stanno formando seguendo percorsi universitari e accademici dell’Accademia Nazionale di Danza. Sono quindi abituati allo studio, ma in questo periodo di distanziamento sociale in cui il corpo è fermo e non può esprimersi stanno affinando ancor di più la loro formazione teorica. Studiare, pensare, ideare, dedicarsi a cose che prima non facevano. Ma più di ogni cosa io ho consigliato loro di sfruttare questo periodo per riflettere sull’essere “umani” prima ancora che danzatori. È necessario recuperare la gentilezza e la comprensione, i modi. La danza è anche questo: è bellezza, fantasia, creatività. Si tratta di cose che vanno recuperate e raffinate, viverle nella vita, liberandoci della frenesia e dell’individualismo cui eravamo abituati per poi riportare un messaggio nella danza. Spero che quando tutto questo sarà finito non assisteremo solamente a balletti sulla pandemia e sulla distanza sociale (tema sicuramente importante e che stimola la ricerca artistica), ma verrà dato un messaggio coreografico preciso e un pensiero ben rappresentativo di questo cambiamento.
Proprio perché giovanissimi, i ragazzi sono particolarmente esperti nelle nuove tecnologie. Che rapporto si sta sviluppando tra danza, distanza e virtualità?
Il 29 aprile abbiamo celebrato la Giornata Internazionale della Danza. La nostra compagnia e molte altre realtà coreutiche professionali hanno festeggiato con contributi video di notevole valore. I danzatori si sono cimentati in nuove forme di espressione molto interessanti che però bisogna, prima o poi, portare in scena. Nelle ultime generazioni la testa dei giovani si è un po’ atrofizzata. Faccio un esempio: quando io vado all’estero mi meraviglio di tutto, anche dei tramonti. Loro a volte si perdono cose meravigliose proprio a causa di questo loro stare sempre “connessi”. Credo che si debbano rivedere e riscoprire la connessione e la comunicazione da un punto di vista sociologico. La tecnologia deve restare uno strumento, un momento di uno spettacolo, ma comunque fine a se stesso. Non posso anticipare nulla, ma noi stiamo lavorando più che sull’espressione tramite la tecnologia su un modo di tornare in scena dal vivo, valutando luoghi, spazi e strategie per esprimere la nostra arte pur mantenendo le distanze.
La danza è senza dubbio “fisica”. Eppure si stanno sviluppando nuove metodologie didattiche, di allenamento ed esigenze, di ricerca e sperimentazione coreografica basate più sulla propriocezione del corpo, rispetto al movimento dello stesso, nello spazio. Lei cosa ne pensa?
I miei danzatori sono adulti, professionisti. Sanno perfettamente come tenersi in forma autonomamente per quanto è possibile, come prendersi cura del proprio corpo. Anche le lezioni online vanno bene, perché no, purché siano fatte con coscienza. Alla luce delle nuove disposizioni governative sembra che potranno riprendere gli allenamenti solo gli atleti di interesse nazionale. Mi spiace che tale professionalità non sia stata presa in considerazione anche per il mondo della danza. Potrebbe essere reintrodotta almeno la lezione tenendo, ovviamente, le distanze alla sbarra e al centro.
A cosa sta rinunciando la compagnia (date, progetti ecc. …) a causa delle limitazioni determinate dal distanziamento sociale?
I danzatori dell’Astra Roma Ballet hanno ottenuto il bonus Inps di 600 euro. Per loro è stato un contributo minimo ma importante, che li ha fatti sentire parte del mondo del lavoro reale, cosa che non è così scontata per molti danzatori professionisti. Dal 2018 non abbiamo più la sovvenzione ministeriale. Siamo andati avanti con progetti speciali del Ministero ma non basta ancora. Purtroppo abbiamo perso molte date: avevamo in programma una tournée del nostro spettacolo La gazza ladra che finora conta solo quattro date. Abbiamo perso una tournée in Indonesia, in Albania, ma anche in Veneto, Umbria, Calabria. Avevamo poi in cantiere anche una nuova produzione. È un grave danno sicuramente economico nonostante noi siamo abituati a lavorare in economia basandoci soprattutto sul principio della collaborazione e sulla capacità di sapersi adattare alle più svariate situazioni. Anche se il danno peggiore è sicuramente di tipo “artistico” ed è causato dal distanziamento sociale stesso. Come dicevo abbiamo un team altamente collaborativo e affiatato e questa vicinanza si ritrovava anche sulla scena. Nelle nostre ultime produzioni le coreografie del nostro coreografo Paolo Arcangeli sono strettamente collegate alle videografie di Marco Schiavoni che cura l’aspetto multimediale dei lavori, ma è anche un compositore. Spesso anche i danzatori stessi collaborano alle coreografie come assistenti o agli allenamenti dandosi anche lezione tra loro. Infine un’altra grande perdita per noi sono i viaggi e il costante confronto con l’estero.
Il futuro della danza è più incerto che mai e aspettare la fine dell’emergenza potrebbe rivelarsi disastroso per tutto il settore dello spettacolo dal vivo. Quali soluzioni potrebbero concretamente proporsi per ripristinare l’arte coreutica e permettere la sua convivenza col virus?
Al di là della pandemia la danza è in ginocchio già da molto tempo. Mi piacerebbe che nella commissione cultura ci fosse qualcuno competente nella danza che magari ha provato sulla sua pelle che cosa significa essere un danzatore. È necessario! Paradossalmente in Italia, che è la patria dell’arte, della cultura, del teatro e della danza, questa è sempre all’ultimo posto. Andrebbe rivisto anche il sistema scolastico, inserendo l’arte coreutica nella formazione già dalle scuole primarie. Solo così i bambini e poi gli adulti comprenderebbero che essa è parte integrante e fondamentale della nostra identità culturale.
[Immagine di copertina: “La gazza ladra”, Compagnia Astra Teatro. Foto di Andrea Annaloro]