Natale di “Sabato, domenica e lunedì”: Eduardo da Edoardo De Angelis a Sergio Rubini
Un appartamento pieno di luce, dai toni sgargianti e arredato in modo stravagante. Un giardino, dove pascola un dromedario, affacciato sul golfo di Napoli e il Vesuvio. Qui è ambientata la trasposizione cinematografica per la tv di Edoardo De Angelis Sabato, domenica e lunedì, testo fondamentale del teatro di Eduardo De Filippo (composto nel 1959), andata in onda lo scorso 14 dicembre in prima serata su Raiuno e disponibile su Raiplay (produzione Picomedia e Rai Fiction).
Sabato, domenica e lunedì sono i giorni che scandiscono gli antefatti, l’esplosione e la ricomposizione di una crisi matrimoniale, quella tra Peppino e Rosa Priore (nel film interpretati da Sergio Castellitto e Fabrizia Sacchi). Sposati da trent’anni, ma incapaci di comunicarsi l’affetto che ancora li lega, i due affogano i loro malumori nel silenzio e nell’indifferenza. Un profondo solco separa Peppino anche dai figli Rocco, di cui osteggia le idee innovative sulla conduzione delle attività commerciali di famiglia – appoggiate invece incondizionatamente dall’anziano nonno Antonio – e Giulianella, spirito ribelle e femminista che cerca la sua realizzazione nel cinema. Ma ciò che lo tormenta è la gelosia nei confronti della moglie, che vede sempre più distante e poco avvezza a riservargli quelle attenzioni che negli anni avevano cementato il loro rapporto. Le continue gentilezze che le rivolge il ragioniere Ianniello, amico di famiglia e commensale, alimentano questo suo sentimento fino al punto di sfociare in una drammatica scenata in presenza dei figli e degli amici durante il pranzo domenicale. Il lunedì arriva il chiarimento: i silenzi hanno generato equivoci e risentimenti, ma l’amore è ancora vivo. E Rosa e Peppino possono provare a ritrovare insieme la strada di una serena vita familiare.
Secondo atto di una “trilogia” eduardiana targata Rai, con protagonista Castellitto, cominciata lo scorso anno con Natale in casa Cupiello e che terminerà con la messa in onda – prossimamente – di Non ti pago, la trasposizione di De Angelis ha ancora una volta diviso il pubblico e la critica tra chi ritiene che i classici non vadano toccati troppo e chi, al contrario, pensa che il cammino di un’opera verso l’immortalità passi anche attraverso riscritture, reinterpretazioni e tradimenti.
Il regista dà corpo agli incubi di Peppino, mostrandolo per esempio mentre impugna una pistola – che nel testo teatrale è solo evocata – con la quale vorrebbe uccidere il ragioniere, ma stempera e alleggerisce i conflitti in un clima di ottimismo pre-sessantottino e nel colore degli ambienti, tra il surreale e il pop, dove se non fosse per il Vesuvio-cartolina sullo sfondo e il ragù non sembrerebbe nemmeno di stare nel mondo piccolo-borghese della Napoli del Dopoguerra.
Tra le critiche mosse a questa edizione di Sabato, domenica e lunedì c’è l’aver declinato al femminile alcuni personaggi rispetto al testo – nello specifico il figlio Rocco, diventato una ragazza di nome Pietra (Liliana Bottone), e il nonno Antonio, trasformato nella matriarca Titina (efficacemente interpretata da Nunzia Schiano) – e il non avere il sapore della “napoletanità”, che aveva invece l’indimenticabile versione cinematografica di Lina Wertmüller del 1990, con interpreti Luca De Filippo e Sophia Loren. Ma era questo l’intento di De Angelis: rompere con la tradizione pur nel rispetto del testo, facendolo vivere di vita propria; parlare di sentimenti e temi che sono universali, e pertanto non possono essere racchiusi in confini angusti. Ciò spiega il taglio femminista impresso al film, rimarcato nel finale con la trovata di una danza solitaria e audace di Donna Rosa sulle note jazz di Enzo Avitabile. E a chi – ancora una volta – contesta che a Castellitto manchi il pathos drammatico di Eduardo o di Toni Servillo, si può rispondere sottolineandone invece l’interpretazione moderna, ironica, delicata (già vista lo scorso anno in Natale in casa Cupiello), che, insieme a quella intima ed elegante di Fabrizia Sacchi e del resto del cast (ricordiamo anche Giampaolo Fabrizio, Maria Rosaria Omaggio, Maria Vera Ratti, Tony Laudadio, Adriano Pantaleo, Gianluca Di Gennaro,Margherita Laterza, Giulia Pica, Ginestra Paladino, Antonio Fiorillo, Fiorenzo Madonna), ha contribuito a far rivivere tutta la bellezza e la poesia di una delle più belle opere che siano mai state scritte sull’amore coniugale.
Più ambiziosa l’operazione di Sergio Rubini. Nel suo I fratelli De Filippo (produzione Rai Cinema e Pepito Produzioni), uscito nelle sale dal 13 al 15 dicembre e in programma su Raiuno il prossimo 30 dicembre, il regista pugliese racconta la nascita del trio che ha rivoluzionato la storia della cultura italiana del Novecento. Una sorta di continuazione di Qui rido io di Mario Martone, che vede i giovani Eduardo, Peppino e Titina passare dall’infanzia alla prima giovinezza e affrancarsi dall’ingombrante figura familiare ed artistica del padre naturale Eduardo Scarpetta, capostipite del teatro comico napoletano, per affermare un nuovo teatro nazionale dove – sulla scorta dell’insegnamento pirandelliano – la comicità lasci il posto ad un umorismo dal retrogusto amaro, capace di innovare la tradizione senza distruggerla, ma adattandola ai tempi, e di raccontare la vita di tutti i giorni nella sua verità. Perché, come diceva Peppino, spesso nella vita nelle lacrime di una gioia si celano quelle di un dolore, e la farsa si confonde con la tragedia. Nacquero così i primi grandi successi del trio: Ditegli sempre di sì, Sik-Sik, l’artefice magico, Don Raffaele il trombone, e la stessa Natale in casa Cupiello, di cui il film narra la genesi.
Felice pertanto, e quasi metaforica, l’intuizione di Rubini di affidare il ruolo dei tre fratelli a tre giovani attori, protagonisti di una storia che parla di ribellione giovanile, desiderio di emancipazione, voglia di riscatto: Mario Autore – che esordisce con questo film al cinema – è un Eduardo spigoloso, tagliente, ambizioso, nonché straordinariamente somigliante nell’aspetto e nel timbro di voce; Domenico Pinelli un Peppino ironico e scanzonato; Anna Ferraioli Ravel una Titina coraggiosa e determinata. Nella competizione tra i giovani De Filippo e gli Scarpetta, che è uno dei leitmotiv del film, Giancarlo Giannini è un Eduardo Scarpetta potente e indomito, ma capace di intravedere nei De Filippo il rinnovamento, a discapito del figlio ed erede Vincenzino – qui bravissimo e sorprendente Biagio Izzo – quando dice al giovane Eduardo: «Tu si ‘a punizione mia! Io nun t’aggio dato ‘o nome ma tu te si arrubbato ll’arte!».
Ma il lavoro di Rubini offre anche dei ritratti femminili quasi inediti: quelli di Rosa e Luisa De Filippo, zia e nipote, l’una moglie e l’altra amante di Eduardo Scarpetta e madre dei tre fratelli, interpretate da Susy Del Giudice e Marisa Laurito; quello di Adele Carloni, prima moglie di Peppino, la giovanissima Marianna Fontana. Cammei anche per Vincenzo Salemme, Maurizio Casagrande, Maurizio Micheli, Giovanni Esposito, Antonio Milo e Nicola Di Pinto.
In definitiva il film, che in origine avrebbe dovuto essere una serie a puntate (infatti si parla già di girare una seconda parte), presenta un buon equilibrio tra fiction e ricostruzione filologica e scava nelle pieghe dei sentimenti, ma anche dei dissapori, che caratterizzarono i rapporti familiari e artistici dei tre fratelli. Soprattutto, ha il merito di presentarceli per come realmente essi furono: giovani favolosi, geniali innovatori, rivoluzionari, interpreti con la loro arte dei mutamenti della società. È questo il fil rouge che lega la regia di De Angelis a quella di Rubini.
Come ha detto Rubini, i De Filippo furono i Beatles italiani (e lo sottolineano nel film anche le belle musiche di Nicola Piovani). Impossibile, dunque, rinchiuderli nel sacro recinto della tradizione o, peggio ancora, imbalsamarli nel museo della memoria.
[Immagine di copertina: foto di Federico Vacca Massaro]