Intervista ad Emanuele Aldrovandi
Emanuele Aldrovandi è tra i giovanissimi nuovi esponenti della drammaturgia italiana contemporanea; classe ’85, nativo di Reggio Emilia, città del Tricolore, si è formato all’Accademia Paolo Grassi come autore prima di cominciare la carriera di drammaturgo che, seppur ancor breve per via della sua età anagrafica, ha già raccolto una serie di prestigiosi riconoscimenti come il Premio Hystrio Scritture di Scena nel 2012 con Funziona meglio l’odio e il Premio Nazionale di Teatro Luigi Pirandello nello stesso anno con Felicità, fino ad arrivare al Premio Fersen l’anno dopo con Il Generale e soprattutto il Premio Riccione Pier Vittorio Tondelli, forse il più importante riconoscimento per la drammaturgia contemporanea teatrale italiana, sempre nel 2013 con Homicide House, lo spettacolo che BAM Teatro e Mamimò porteranno in scena il 4 Marzo 2016 presso il’Auditorium Centro Sociale di Salerno nell’ambito della stagione Mutaverso, che Scene Contemporanee supporta nelle sue attività.
E’ stata l’occasione questa per scambiare quindi qualche parole cone Emanuele Aldrovandi sul testo che porterà in scena e più in generale sull’essere drammaturgo oggi e sul processo di scrittura.
Franco Cappuccio: Per iniziare, ti chiedo qual è stata la genesi di Homicide House, lo spettacolo che vedremo in scena a Salerno?
Emanuele Aldrovandi: La scintilla che ha dato il via alla scrittura di Homicide House è stata mentre guardavo il tg in televisione; ad un certo punto uno di seguito all’altra hanno dato due notizie: la prima era di una persona che si era tolta la vita e la seconda di un serial killer che ammazzava le persone. Allora ho pensato: come mai nella società di mercato in cui viviamo oggi non si sia ancora capitalizzata la morte attraverso un servizio di domanda/offerta che metteva in comunicazione coloro che volevano togliersi la vita con coloro che invece volevano toglierla? Da questa considerazione è nata l’idea che poi ha portato alla realizzazione del dramma.
In Homicide House ci sono quattro personaggi in scena, tutti indefiniti: l’uomo e la donna, i due protagonisti, marito e moglie, e Camicia a Pois e Tacchi a Spillo, che potrebbero sembrare, per come sono caratterizzati, i personaggi negativi del dramma, quando poi alla fine completamente negativi non sono.
Non si tratta di personaggi negativi infatti ma di estremi; Camicia a Pois infatti rappresenta la razionalità del ragionamento economico portata all’estremo, mentre Tacchi a Spillo porta all’estremo la visione mistica. Proprio per via di questi estremi portati all’eccesso, si tratta di personaggi non mediabili, a differenza dell’Uomo e la Donna che rappresentano invece una via di mezzo.
I personaggi che non hanno nome e sono indefiniti, se non per il loro carattere e le ambientazioni che sono senza riferimenti veri e propri danno un carattere di universalità al dramma, trasportandolo quasi nella dimensione di una favola.
Si, infatti molto spesso si è parlato di Homicide House come di una favola nera; la regia in questo senso ha spinto ancora di più verso questa caratteristica, attraverso un fondale neutro che rappresenta il fondale dell’anima, ad esempio. Inoltre, si può dire che i quattro personaggi, in questo senso, possono essere visti anche come tutte voci della stessa persona, che quindi racchiude in potenza tutti questi estremi; in questo senso, sono voci all’esterno ma ancor di più voci all’interno dell’uomo.
Come mai hai scelto i MaMiMò per rappresentare il tuo testo?
Conosco il regista da molti anni, da quando stavo alla Paolo Grassi e dopo la vittoria del Premio Tondelli mi è sembrato naturale lavorare con lui (che peraltro aveva già letto il testo precedentemente); a questo si è aggiunto il fondamentale apporto di BAM Teatro che ha contribuito in maniera chiave alla distribuzione e all’impiantistica e la scenotecnica dello spettacolo.
In un momento in cui molti autori contemporanei scrivono e mettono in scena gli spettacoli all’interno delle proprie compagnie o comunque scrivendo già avendo in mente chi porterà in scena il testo, tu invece prepari le tue opere a monte e, al termine del percorso letterario di esse, valuti con chi collaborare per farle mettere in scena.
Si, perché per me è importante che si consideri la drammaturgia come una forma letteraria autonoma sia nella forma che nella tipologia. E’ per questo che realizzo i miei testi in modo tale che essi abbiano anche un’autonomia e una dignità di scrittura, e che solo dopo l’incontro con chi lo metterà in scena che inizia a prendere forma lo spettacolo teatrale.
Tra l’altro nella tua ricerca artistica e di scrittura ti troverai presto a lavorare con una compagnia come gli Eros/Anteros, che vengono da un percorso molto più legato alla performance e alla sperimentazione ed innovazione visiva rispetto che alla parola. Per loro hai scritto il tuo nuovo testo, Allarmi, che debutterà a Modena ad Aprile.
Trovo molto interessante far incontrare due mondi diversi, ovvero quello della drammaturgia letteraria e quello della performance sperimentale; loro mi hanno cercato, poiché volevano declinare i temi della loro sperimentazione attraverso la parola e il testo drammaturgico, e così è nato questo lavoro che trovo molto interessante.