Arti Performative Mutaverso Teatro

Intervista ad Alessandra Ventrella di Dispensa Barzotti

Franco Cappuccio

Ogni biennio di Premio Scenario ci porta con sé sempre delle novità estremamente interessanti nel mondo del teatro contemporaneo italiano; storiche compagnie sono infatti uscite da questa prestigiosa competizione per artisti emergenti, a testimonianza del grande lavoro di selezione e supporto compiuto dall’Associazione Scenario, come Babilonia Teatri, Carullo/Minasi, Marta Cuscunà, Anagoor, e via proseguendo. L’edizione che si è conclusa formalmente quest’estate, con la proclamazione dei vincitori allo scorso Santarcangelo a seguito della presentazione di uno studio di 20 minuti, e il susseguente debutto dicembrino al Teatro Litta di Milano, non faranno sicuramente eccezione, e sicuramente tra quelli che hanno più colpito uno posto speciale va a Dispensa Barzotti da Parma, che con il loro Homologia hanno conquistato pubblico e critica e si esibiranno giovedì 17 Marzo 2016 all’interno della stagione Mutaverso a Salerno, di cui Scene Contemporanee è orgoglioso sostenitore. E’ stata quindi l’occasione per parlare con uno dei volti della compagnia parmigiana, ovvero Alessandra Ventrella che di Homologia cura la regia.

Franco Cappuccio: Alessandra, innanzitutto raccontaci il vostro percorso; da dove venite, che esperienze avete avuto e cosa vi ha unito.

Alessandra Ventrella: Io e Riccardo ci siamo conosciuti alla Paolo Grassi, dove abbiamo entrambi frequentato il corso di Drammaturgia, e una volta diplomati avevamo già deciso di lavorare insieme per affinità culturali e cercare di realizzare delle cose insieme; ovviamente venivamo entrambi da esperienze teatrali pregresse e nel nostro cammino abbiamo incontrato Riccardo, che ci ha portato una visione di teatro diversa nella compagnia, in quanto proveniente da studi filosofici (ma sempre con la passione del teatro!).

FC: In Homologia vi rifate ad un canone tradizionale, seppur ovviamente modificato da voi per essere inserito in una contemporaneità che è parte della vostra poetica specifica, che è quello del teatro di figura. Da cos’è nata questa scelta?

AV: In questo lavoro ci è sembrato necessario adottare questo punto di vista; questa scelta nasce ovviamente per una passione, da parte di tutti i membri del gruppo, per gli oggetti e per l’inanimato, che hanno un ruolo centrale all’interno di Homologia, per cui partendo da questo ci siamo innamorati di questa maschera da cui via via scaturiscono tutte le azioni dello spettacolo, e propria attraverso quest’idea di teatro siamo partiti dalla figura di questo antropologo inglese, Daniel Miller, che abbiamo ritratto attraverso questo strumento performativo.

FC: Questa maschera diventa quindi un simbolo all’interno di Homologia.

AV: Si, quando abbiamo scelto la maschera ci interessava molto lavorare con la figura vera (l’attore con la maschera) e la figura finta (l’attore senza maschera), a testimonianza del rapporto duale che c’è tra realtà e finzione.

FC: Parte centrale all’interno di Homologia ha anche la psicologia, e in particolare Freud…

AV: Si, il concetto di perturbazione di Freud è un altro punto fondamentale che abbiamo voluto tradurre proprio in principi teatrali, e questo è fortemente presente all’interno di Homologia (le membra che si staccano, ad esempio), così come il tema del doppio, anch’esso mutuato dall’opera dello studioso austriaco.

FC: Così come la dimensione onirica dello spettacolo….

AV: Si, anche l’onirico in tema, di cui ci siamo serviti anche per lavorare su una drammaturgia originale.

FC: Guardando lo spettacolo mi è venuto in mente Eraserhead…

AV: Si, spesso hanno visto anche qualcosa di Mulholland Drive nel nostro lavoro, e io sono felicissima, perché Lynch è uno dei miei registi preferiti e, come tutte le passioni, vengono assorbite al nostro interno e quindi in un certo modo diventano parte del nostro linguaggio. Oltrettutto Lynch stesso è un grande maestro del perturbante.

FC: Dal punto di vista produttivo come ha influito nel vostro lavoro il dover lavorare considerando una competizione importante come il Premio Scenario, e quindi lavorando prima su uno studio di venti minuti, che però essendo una finale doveva avere in sé tutte le caratteristiche dello spettacolo, e poi solo dopo per lo spettacolo completo?

AV: Lo studio di venti minuti noi lo abbiamo considerato come un vero e proprio studio, infatti a differenza degli altri niente di quello che abbiamo mostrato a Santarcangelo è confluito nel lavoro finale, proprio per il discorso di dare una coerenza in sé allo studio per impacchettarlo come se fosse compiuto nella competizione. Ovviamente lo studio c’è servito come punto intermedio e dopo di esso abbiamo continuato a lavorare su quei temi e quelle atmosfera, ma considerandolo come un punto di partenza per sviluppare una drammaturgia di durata superiore.



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