Arti Performative

Motus/Sezione Aurea – King Arthur

Irene Cortese

 Enrico Casagrande e Daniela Nicolò si cimentano con l’opera lirica, scegliendo l’opera di Dryden/Purcell (1691), King Arthur, andato in scena al Teatro Argentina di Roma per il Romaeuropa Festival

 

La dramatick opera, scritta da John Dryden nel 1684 e musicata da Henry Purcell nel 1690, è stata adattata dai Motus in collaborazione con l’ensemble musicale Sezione Aurea. La messinscena si avvale della drammaturgia di Luca Scarlini, affidata a due attori, di riprese live di una telecamera e di video proiettati dissolti gli uni nelle altre, di tre cantanti e dei musicisti di Sezione Aurea accomodati tra accenni di foresta in penombra.

La confusa presentazione di King Arthur nel programma di sala è lo specchio della confusione della messinscena: della simbologia che si vorrebbe esistesse (la «vertigine di doppi», l’immagine illusoria, la foresta come labirinto di giochi di potere, il «binomio caldo/freddo») ben poco si ritrova nello spettacolo, mentre i rimandi all’universo del Ciclo bretone (la «giocoleria cavalleresca» e giullaresca) e i temi centrali (amore Vs conflitto) sono sottolineati fino alla stremo dai video («landscapes di guerra e tempesta»), dalla regia e dalla drammaturgia che diventano retoriche e ripetitive.  

A indebolire ulteriormente il tutto intervengono un certo esibizionismo registico, che indugia, per mezzo del cameraman, su dettagli fisici degli attori (le vene del braccio di lui, gli “occhi ciechi” di lei), e una sfumatura di pretesa filologica (fuori luogo rispetto agli abbondanti tagli, inversioni e innesti) che farebbe dell’«incontro fra musica e parole» il corrispettivo del connubio di linguaggi tipico della English opera. Questa leggera sensazione di filologia spicciola non risparmia la presenza del controtenore (Carlo Vistoli) che, d’altra parte, offre i momenti più belli dello spettacolo e la cui esecuzione è, senza dubbio, in linea con la ricerca condotta da Sezione Aurea di un suono «aereo», da affidare a spiriti, dei e personaggi mitologici, attraverso la scelta di un organico e di voci all’interno di un range medio-acuto.

Uno smembramento e una ricomposizione come quelli operati sull’opera di Dryden e Purcell dà vita a un piccolo Frankenstein autistico, deludendo sia l’esperto d’opera sia il non esperto che di King Arthur coglie ben poco se non la splendida musica di Purcell, mutilata d’altra parte. Per i registi “di prosa” e per i gruppi teatrali contemporanei l’opera in musica rappresenta terreno fertile e l’incontro, per alcuni, e in alcuni casi, è stato effettivamente di successo (Corsetti, Fura dels Baus…). Dunque, la scelta dei Motus di confrontarsi con un’opera del Seicento è interessante e perfino acuta visto la recente rivalutazione della produzione operistica europea del XVII secolo. Alla fine, però, non si coglie la necessità, il senso, teatrale o assoluto, dell’adattamento contemporaneo di questo King Arthur


Dettagli

  • Titolo originale: King Arthur

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