Musica Nuove Uscite

Mostly Other People Do The Killing – Loafer’s Hollow

Maria Ponticelli

Tradizione e innovazione, osservanza e anarchia, il gruppo jazz Mostly other people do the Killing fonde insieme i canoni del Jazz con l’imprevedibilità di una musica fatta di assoli bizzarri e di un perfetto accordo stilistico tra gli strumenti. Da sempre i MOPDK riescono ad ottenere consensi con la loro capacità di conservare ed innovare insieme un genere musicale che, secondo l’opinione di Moppa Elliot – bassista e leader del gruppo – riesce ad essere valorizzato solo nella misura in cui chi lo esegue esprime la propria impronta stilistica senza abbandonarsi ad un riarrangiamento di brani già proposti.

Il disco accoglie l’ascoltatore con Hi-Nella, una traccia in cui la tromba si lascia apprezzare nelle sue variopinte acrobazie per poi dialogare con la sezione ritmica nella seguente Hony Hole. Le vibrazioni generate dall’ensemble di strumenti riempiono lo spazio intorno e sospingono i piedi in un inseguimento continuo del ritmo fino a quando i fiati non risolvono la marcia in un assolo o in una danza swing con piano o batteria. Il pezzo che meglio sintetizza queste sensazioni e che ha di certo qualcosa di brillante nella sua eccentricità è Kilgore. In questo brano la tromba, nel silenzio degli altri strumenti, si esibisce in una delle sue migliori performance in quasi tre minuti di sussuri e stridii che precipitano poi su un magnifico pianoforte i cui tasti si rincorrono e si accavallano sotto la furia delle mani di un pianista che chiude il brano con un guizzo di genialità. Ed è ancora il piano ad aprire il pezzo successivo, stavolta con un incedere rilassato quasi a voler preparare l’ascoltatore al ritmo che resta nell’angolo in attesa di ritornare sulla scena in tutta la sua coinvolgente pienezza.

Perfetto in Meridian è l’incontro di sax, trombe e piano mentre quest’ultimo in Glenn Riddle fa da guida agli altri strumenti per lasciar posto ai fiati sul finale. Meraviglioso infine è Five che chiude l’album con un’atmosfera da cartone degli anni trenta in bianco e nero e chiama sulla scena tutto l’ensemble che saluta il pubblico con un’ultima esibizione prima dell’inchino finale.

Otto sono i brani del disco che si intitola Loafer’s Hollow come la città della Pennsylvania che ha dato i natali a Elliot mentre ciascun brano dell’album è intitolato ad un autore letterario e, sebbene non vi sia alcunchè di evocativo all’interno delle tracce tanto da far pensare agli scrittori citati, questo omaggio alla letteratura conferisce un tocco di raffinatezza all’intera produzione. Da poco più di dieci anni sulla scena musicale internazionale, i MOPDK tengono insieme la tradizione del jazz che tiene conto delle influenze dei più grandi interpreti della storia del genere come Armstrong, Ellington, Davis, Coltrane (solo per citarne alcuni) per poi cercare un proprio stile nella contaminazione, nei tentativi di innovazione che passano per la sovversione della stessa tradizione attraverso una ricerca di elementi di ironia e imprevedibilità.

Loafer’s Hollow è di certo un disco da ascoltare e riascoltare perchè nei suoi 39 minuti di ritmi gioiosi e dai toni talvolta circensi mette allegria ma anche per capire che il jazz non chiede di essere appannaggio di una nicchia di ascoltatori; i MOPDK dimostrano che il contatto con altri generi e la capacità di innovare fanno di esso un punto d’incontro ed un bacino di inesauribile creativi.



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