Maestri alla Reggia. Giuseppe Tornatore: “È l’emozione che renderà sempre il cinema necessario”
Ultimo appuntamento per l’evento Maestri alla Reggia, serie di incontri con i grandi nomi del cinema italiano. Prende posto Giuseppe Tornatore, regista nostrano tra i più amati dal pubblico.
Cosa volesse intendere il Rettore Giuseppe Paolisso della Seconda Università di Napoli quando ha descritto la serie di eventi targati Maestri alla Reggia come un’esperienza utile per levare i giovani “da pensieri poco consoni” non sarà mai chiaro. Quel che conta è che i cinque appuntamenti si siano conclusi tutti con un successo – per quanto la sala piena, al contrario di quanto dichiarato dagli organizzatori, non ci sia affatto stata durante la serata dedicata a Gianfranco Rosi -, tale da richiamare all’evento, nella Cappella Palatina della Reggia di Caserta, la direttrice di Ciak! Magazine, Piera Detassis, e il direttore del complesso monumentale del Palazzo Reale vanvitelliano, Mauro Felicori.
Tutti loro, insieme allo staff, hanno dedicato 17 minuti buoni ai (dovuti, ne siamo certi) ringraziamenti a chi ha reso possibile in una città di periferia – almeno sul fronte culturale – come Caserta di rimettersi in mostra. Ma 17 minuti, per una sala con tonnellate di persone in piedi ai bordi e nei corridoi esterni della sala, si sentono, ma mai quando tocca all’intervistatore prendere la parola: Walter Veltroni, firma storica di Ciak!, sindaco di Roma d’altri tempi e candidato alla presidenza del Consiglio che fu, non ha il dono della favella, né dell’intervistatore. Per fortuna l’intervistato era una persona d’esperienza, Giuseppe Tornatore.
Uno dei Big del cinema italiano è stato dunque protagonista dell’ultimo appuntamento di Maestri alla Reggia, un regista che per due decenni ha dominato la scena italica, svuotata da grandi concorrenti – Salvatores non è mai riuscito a raggiungere le stesse vette di successo – fino all’arrivo dei vari Paolo Sorrentino, Matteo Garrone e via discorrendo. Un peccato che un’opportunità così importante per il pubblico campano si sia trasformata in un pomeriggio dedicato a risposte a domande come: qual è il rapporto con l’attore? Qual è il ruolo della musica nei suoi film? Quali sono i suoi registi preferiti? Come ha cominciato la sua carriera?
Il fondo lo si è toccato abbastanza presto, con la classica banalità del marziano sceso sulla Terra (sembriamo così certi dell’infinita curiosità degli alieni) a cui si deve spiegare che cosa sia il cinema, ma neanche la solita sferzata agli invidiosi italiani ci scherza. Veltroni, ospite a suo modo tanto quanto l’intervistato, è purtroppo un fallimento nella veste di moderatore – in qualche modo le serate precedenti avevano mantenuto sempre un livello adeguato all’atmosfera -, ancor di più vicino a una persona così eloquente come Tornatore, uomo con tanti film e tante storie da raccontare, un mare di avventure degne d’essere ascoltate.
Tralasciando le risposte di Tornatore alle domande meno interessanti, ovvero, tristemente, la maggior parte, quanto colpisce più di ogni altra cosa del regista siciliano è la sua storica esperienza come spettatore e proiezionista nella sua Bagheria. A 7 anni credeva che la luce del proiettore venisse da una stanza dove il film lo stavano inventando al momento, a 9 anni s’infranse questa sua immagine e qualcosa di più grande prese forma: l’emozione di una saletta dove un uomo indaffaratissimo si faceva in quattro per rendere l’esperienza cinematografica il più bella e tranquilla possibile per il pubblico seduto di fronte allo schermo.
A 14 anni per la prima volta lavorò da solo come proiezionista, curò la bobina censurata di Un dollaro d’onore, il magnifico western di Howard Hawks con John Wayne, Dean Martin e Angie Dickinson, e in tanti anni imparò una lezione fondamentale grazie a chi gli insegnò il mestiere: “Se tu stai proiettando un capolavoro o un film pessimo devi sempre proiettarlo al meglio”. Un motto che lo lascia ancora oggi con la convinzione di come tutto il cinema meriti di essere guardato, senza fare distinzioni tra cinema alto e cinema basso (che non vuol dire che tutto è bellissimo, ricordiamolo a chi rivaluta la commediaccia).
Capirete dunque il posto privilegiato ottenuto dal vincitore del premio Oscar, Nuovo Cinema Paradiso, il film più famoso di Tornatore insieme a La leggenda del pianista sull’Oceano, di cui è stato raccontata vita, morte e miracoli. Ma non si è disdegnato il racconto della genesi de Il camorrista e una minuscola riflessione sugli ultimi tre film, La sconosciuta, La migliore offerta e La corrispondenza. Quest’ultimo citato all’inizio dell’appuntamento, come referente cronologico per ricordare il momento in cui un gigante del nostro cinema se n’è andato: Ettore Scola, conosciuto bene sia da Tornatore che da Veltroni.
Non sono mancati aneddoti sulla notte degli Oscar – nessuno ricorda la gioia del premio, tutti sembrano essere sempre concentrati su altri -, consigli ai giovani che vogliono intraprendere la carriera registica, e l’obbligo di citare i propri film preferiti. Su quest’ultima insistenza di Veltroni si contraddice il forte applauso del pubblico per la difesa di tutto il cinema: Delitto perfetto di Hitchcock è accolto da un applauso, idem Le luci della città di Chaplin, ma quando Tornatore cita Gli Argonauti di Don Chaffey, esplodono in una risata. Forse, per quanto lo desideriamo, ancora non siamo capaci di apprezzare tutto allo stesso modo.
E dunque, se dovessimo spiegare a un marziano cos’è il cinema come potremmo rispondere? La migliore risposta è un classico so di non sapere, reso con arguzia da Tornatore con un aneddoto su Akira Kurosawa agli Oscar, ma il problema è che la domanda dovrebbe essere rivolta a chi il cinema lo guarda e non solo e sempre a chi lo fa. Allora la risposta diventa facile: il cinema è un piccione. Il cinema è un piccione che arriva quando sei impegnato a dare risposte da far virgolettare e inserire negli articoli di giornale; perché tanto è bastato, un singolo piccione, a distrarre più di un centinaio di persone dall’ascoltare i due interlocutori. Il cinema questo dovrebbe fare in fondo, catturare l’attenzione e lo sguardo delle persone.
Solo poche parole in conclusione: speriamo Maestri alla Reggia avrà una seconda edizione l’anno prossimo, perché una città come Caserta – ma anche Napoli -, ha bisogno di più eventi di questa rilevanza, ben organizzati (le domande di Veltroni non sono loro responsabilità) e ben accolti da tutto il pubblico.