Arti Performative

Luca Ronconi – La Modestia

Renata Savo

Con molta “modestia” Ronconi ha trattato Spregelburd, nell’opera sul peccato di essere un po’ meno di ciò che si è.

Se volessimo fare i buoni, diremmo che con molta “modestia” Ronconi ha trattato Spregelburd. Purtroppo, però, La modestia di cui parliamo ora non è una virtù, bensì un peccato: uno dei sette che compongono la nota Eptalogia di Hieronymus Bosch dell’autore argentino sui vizi capitali della modernità, un’opera madre ispirata direttamente alle tavole del pittore fiammingo.

Come Bosch ha ritratto una ruota in cui il centro si perde in funzione di un “tutto” caotico, formato dall’insieme di ogni singolo, inintelligibile spicchio raffigurante il peccato – ira, avarizia, invidia, superbia, gola, accidia e lussuria – così Spregelburd ha sommato i vizi che regnano nel caos della civiltà contemporanea, in cui le relazioni che sorreggono le categorie del reale sono talmente labili da sfuggire, spesso, al tentativo di ricognizione attraverso la successione logica o “aristotelica”.  Abbiamo, quindi, L’Inappetenza, La Stravaganza, La Modestia, La Stupidità, Il Panico, La Paranoia e La Caparbietà; dove, appunto, per “modestia” s’intende il peccato di “mentire a se stesso sulle proprie potenzialità, per non doverne affrontare il limite”. Al di là del tema, un ribaltamento in chiave moderna della morale tradizionale, Spregelburd sperimenta nel testo un meccanismo scenico assolutamente innovativo, scatenato dall’alternarsi silenzioso, quasi naturale, di due storie completamente diverse, ambientate in luoghi distanti nello spazio e nel tempo ma interpretate dagli stessi (quattro) attori, per un totale di diciotto scene: nove ambientate nell’odierna Buenos Aires, che compongono il quadro di una sorta di thriller irrisolvibile, ma intrigante per l’accumulo graduale di elementi disparati, e nove nei Balcani, che ci catapultano in un passato indefinito, sullo sfondo di un conflitto bellico. 

Un po’ Almodovar, un po’ Cechov, il testo di Spregelburd (la storia dello scrittore che pecca di modestia sembra citare Il gabbiano); ma Ronconi, tra i due, sembra aver preferito il secondo, finendo per dipingere a tinte cechoviane entrambe le situazioni. Come se per distinguere le due storie bastasse lo spostamento “fantasmagorico” di qualche oggetto un metro più in là, o una leggera variazione cromatica delle luci, annullando quindi quel carattere surreale che, invece, rappresenta una peculiarità dell’opera.

Infine, per amalgamare il tutto – confondendo ancora di più le idee agli spettatori, che sono usciti in fretta e rumorosamente dal teatro (dopo due ore e quaranta di spettacolo era anche prevedibile) – Ronconi ha impostato in maniera naturalistica la recitazione degli interpreti, penetrando la psiche dei personaggi o svelandone l’identità culturale, proprio lì dove il meccanismo ideato da Spregelburd, quel raffinato gioco ironico, avrebbe funzionato meglio, forse, lasciando tutto in superficie.

Insomma, con tanta “modestia” Ronconi non si è spinto oltre, portando in scena attori bravissimi, ma la cui interpretazione era quasi sempre lontana dalla freschezza dell’opera, che trova nella tecnica dello straniamento, e non nella mimesis, la sua principale ragione di essere.


Dettagli

  • Titolo originale: La modestia

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