Lo Scaffale. “Il cerchio del robot”
Un giovane Philip K. Dick regala un romanzo intenso e allucinato, una dichiarazione di indipendenza da una società che reclama automi.
Il cerchio del robot (The Broken Bubble) è l’ultimo romanzo di Philip K. Dick ad esser stato pubblicato dalla casa editrice Fanucci (febbraio 2013) che completa così l’opera omnia italiana dello scrittore noto soprattutto per Ma gli androidi sognano pecore elettriche? – da cui è stato tratto il film cult Blade Runner – , La svastica sul sole, Un oscuro scrutare e Minority Report.
Scritto nel 1956 ma pubblicato solo nel 1988 – sei anni dopo la morte dello scrittore – dalla Arbor House di New York, Il cerchio del robot rientra nel filone mainstream delle opere che il giovane Dick compose tra il 1955 e il 1957 tentando di affermarsi a un livello letterario più “alto” rispetto a quello, giudicato minore, della science fiction. A dispetto del titolo scelto per l’edizione italiana, dunque, il romanzo in questione non è propriamente di fantascienza o meglio, come nota Carlo Pagetti nella bella introduzione, “il tema fantascientifico viene imbrigliato da Dick – e proposto nella sua marginalità bizzarra – in un universo quotidiano che è già marginale di per sé, collocato alla periferia del sistema istituzionale ed economico dominante”.
Al centro del romanzo vi sono infatti le vicende quotidiane di due coppie – lo speaker radiofonico di successo Jim Briskin e la sua ex moglie Patricia, di cui l’uomo è ancora innamorato, da una parte, e il diciottenne Art Emmanuel e la moglie sedicenne Rachael, da cui il giovane sta per avere un figlio, dall’altra – che si intrecciano in una pericolosa e distruttiva liaison a quattro.
Nel testo è inoltre presente un rilevante intreccio secondario di carattere fantascientifico che vede come protagonisti Art e i suoi amici, esponenti di una fantascienza puerile e di evasione, che lo scrittore contrappone a quella impegnata di Ray Bradbury – sceneggiatore del Moby Dick citato nel testo – in un gioco intertestuale che con Pagetti possiamo definire già postmoderno.
Attraverso un impianto realistico basato sull’intenso utilizzo di dettagli, Dick riesce qui a fondere spunti autobiografici con l’individuazione non banale di uno spaccato sociologico fragile, fatto di ragazzi confusi e perversi e di adulti altrettanto smarriti in una società, come quella della San Francisco di fine anni Cinquanta, repressiva e ostile, dove cominciano a sorgere le nuove divinità meccaniche dell’automobile e della televisione. Mentre la città sembra sul punto di esplodere come la bolla di plastica carica di immondizia descritta nella parte finale del libro, e a cui si riferisce il titolo originale, è sempre più difficile, se non inutile, sfuggire alle regole del “cerchio dei robot”: di una società che reclama automi.
- Genere: Romanzo