Libri

Lo Scaffale – “Educazione Siberiana”

Mariangela Sapere

Un viaggio accidentato nella terra dei criminali onesti, dove i cattivi sono buoni e guai a non rispettare le regole.

Ultimamente si è tornati a parlare di Educazione siberiana di Nicolai Lilin grazie al film omonimo di Gabriele Salvatores. Al momento dell’uscita il libro suscitò molte polemiche, soprattutto in riferimento alla figura di Lilin, scrittore, tatuatore ed ex soldato russo, e alla veridicità dei fatti raccontati.
Educazione siberiana narra la vita di Kolima, un ragazzo nato e cresciuto in Transinistria, all’interno di una comunità formatasi negli anni Trenta quando, in questa remota regione della Moldavia, furono trasferiti i criminali espulsi dalla Siberia. Negli studi sulla devianza, si osserva come in molte comunità comportarsi in maniera deviante sia indice di conformità alle norme condivise. Questo è quanto accade a Fiume Basso, roccaforte degli Urca, comunità di “criminali onesti”. L’ossimoro è connaturato allo stile di vita di parenti e amici di Kolima, che conducono un’esistenza al fuori dalla legge, inquadrata in un sistema di regole che prescrive ogni tipo di comportamento: dal modo in cui si tengono le armi in casa a come si serve il čifir. La tradizione è tramandata oralmente dagli anziani, i “nonni”, che si dedicano all’educazione dei ragazzi attraverso racconti di vita. La violenza “giusta” convive con il senso religioso, l’altruismo, la cura dei deboli. Kolima, come tutti i ragazzini, desidera crescere, aspira a diventare un criminale onesto, ambisce ad avere la pelle tatuata, dove ogni tatuaggio racconta una parte della vita criminale. Episodi divertenti si intrecciano a risse sanguinose, morti, attacchi agli sbirri, e a numerosi personaggi, ognuno con una storia drammatica o esemplare.

La maggior parte delle polemiche su Lilin sono relative alla veridicità della narrazione, problema rilevante in quanto il libro è stato presentato come un’autobiografia. Prescindendo da questo discorso e considerando Educazione siberiana come un romanzo, ci si trova davanti un racconto frammentario, in cui i ricordi del protagonista sono infarciti da numerose digressioni, e da altrettante incursioni nella tradizione, nelle regole, nella simbologia degli oggetti e dei tatuaggi siberiani. Alla lunga si ha la percezione di scorrere su un fiume lento che fa continue deviazioni. Talvolta ci si diverte, talvolta ci si annoia.  Spesso si cade nell’aneddotico, si ha l’impressione che alcuni fatti siano fini a loro stessi. Il protagonista pecca di eccesso di zelo; un criminale, sì, ma con l’atteggiamento da primo della classe. Le continue spiegazioni finiscono col risultare irritanti e rendono faticosa la lettura, che pure in un primo momento è interessante e a tratti divertente. Lilin è stato presentato come il russo che scrive direttamente in italiano, lo stile si adatta alla sua figura, ma in fase di editing sarebbe stata opportuna una maggiore attenzione nel tenere in piedi la trama principale, rinunciando agli episodi di troppo.


  • Genere: Narrativa straniera
  • Altro: Traduzione di V. Gallico e F. Lucaferri

Una selezione delle notizie, delle recensioni, degli eventi da scenecontemporanee, direttamente sulla tua email. Iscriviti alla newsletter.

Autorizzo il trattamento dei dati personali Iscriviti