L’Italia all’asta
A Venezia si vendono tre palazzi storici, alla Certosa di Pavia si cedono opere che non si possono restaurara: qual è il destino dei beni culturali?
L’Italia va all’asta: così commenta lo storico dell’arte Tomaso Montanari a proposito del progetto di vendita di tre palazzi storici (tra cui uno sul Canal Grande) dell’Università Ca’ Foscari a Venezia, il più recente atto, e non certo l’ultimo, della vendita del patrimonio immobiliare pubblico della penisola. Si tratta in questo caso di una permuta che poterà in cambio all’università veneziana un edificio moderno. Un’operazione discutibile, secondo il Collettivo per la difesa dei beni artistici, formato da docenti e allievi dell’ateneo, che ha posto al Rettore Carlo Carraro 10 domande rimaste finora senza risposta. Uno dei motivi della vendita sembra l’impossibilità di garantire la costosa conservazione dell’edificio, un’emergenza che investe un numero sempre maggiore di soggetti pubblici e privati.
E’ di pochi giorni fa la notizia che l’Agenzia del Demanio ha inserito la Certosa di Pavia in un elenco di opere – il progetto “Valore Paese-dimore” – che possono essere concesse per cinquant’anni a privati in grado di sostenere gli altissimi costi del restauro. Da tempo il complesso monumentale fra i più celebri del paese, attualmente gestito dai monaci cistercensi, è in stato di semi abbandono e gli spazi aperti al pubblico sono solo una piccola parte. La Certosa è il caso più eclatante ma il progetto del Demanio riguarda ben 117 immobili statali di pregio (castelli, ville, palazzi) che saranno dati in concessione per cinquant’anni a privati e trasformati in resort di lusso, campus universitari, sale convegni e altro. Il progetto pilota si è già concluso (Villa Tolomei a Firenze è diventata un hotel di lusso) e la procedura è stata già avviata per altri 69 edifici.
Le perplessità però non mancano, e Marco Parini, Presidente di Italia Nostra, chiede di prevedere clausole contrattuali più rigorose. E’ questo uno dei nodi più difficili da sciogliere: il cambio di destinazione d’uso comporta interventi talvolta discutibili sugli immobili e non sempre lo stato è in grado di vigilare adeguatamente sull’operato dei privati. Resta poi il problema di fondo della sottrazione di un bene pubblico alla collettività per assegnarlo a privati che hanno dichiaratamente scopo di lucro e non sono tenuti a garantirne la pubblica fruizione. E’ questo il destino dei nostri beni culturali?