Linda Di Pietro/Marco Avarello // La notte di Pinocchio
Il testo elaborato da Marco Avarello e diretto da Linda Di Pietro porta in scena l’affresco di una notte da Uomo del personaggio letterario più amato di tutti i tempi, interpretato da Carlo Valli.
C’era una volta un burattino in tutto e per tutto simile a un bambino, opera del suo papà, il buon falegname Geppetto…
Quante volte abbiamo sentito questa storia, in tutte le salse. Pinocchio non morirà mai, e va be’, questo lo sappiamo. Ma cosa accadrebbe al suo personaggio se una volta diventato bambino, crescesse, vivesse e soffrisse come gli altri esseri mortali? Se la vecchiaia, la morte e la solitudine non fossero più per lui un mistero?
Il testo elaborato da Marco Avarello e diretto da Linda Di Pietro, La notte di Pinocchio, porta in scena l’affresco di una notte da Uomo del personaggio letterario più fortunato di tutti i tempi.
A fargli compagnia, in quella che oggi sembrerebbe una bottega ormai vuota e da tempo inutilizzata, la voce della sua coscienza, il Grillo parlante. Nulla è cambiato, in fondo, tra i due: l’eterno conflitto tra il Bene assoluto e il desiderio di evasione resta ancora centrale, con la differenza che adesso il Grillo rimprovera al vecchio Pinocchio di condurre uno stile di vita non troppo parsimonioso; lo esorta a guardarsi la salute e, come sempre, a non fidarsi mai. Neppure se a bussare alla porta è una creatura innocua e miserabile venuta a chiedere in commissione l’estrema opera che contenga la piccola salma di un amico venuto tragicamente a mancare (Pinocchio ha seguito le orme del padre). E’ il Gatto, infatti, nel sacco portato in spalla dalla donna, una donna con sembianze animalesche – la Volpe, naturalmente. Al Gatto il testo ha riservato un destino coerente: come per una strana legge del contrappasso, la Volpe racconta che il suo più caro amico è stato ucciso da un branco di bulli: «Per cento volte che l’avrebbe meritato da colpevole, è stato impiccato una sola volta, da innocente».
Nella stessa notte appare la Fata turchina, di cui nessuno ha mai conosciuto il nome; e proprio la sua figura impalpabile, sfuggente, ha finito per diventare l’emblema di una tensione erotica, di un amore carnale inconfessato e mai portato a compimento. Per una volta è il burattino a guardare più avanti della sua amata e non corrisposta Fatina: la sua saggezza oggi è coperta da un velo di presunzione, e la bellezza intatta mostra come il tempo per lei si sia fermato da ogni punto di vista. Sotto una nuova luce, infatti, il suo personaggio appare, sì, puro, ma anche bigotto, demodé nella sua visione dell’esistenza, se non addirittura egoista e insensibile, perché di fatto sempre stato consapevole delle conseguenze delle sue buone azioni: «Tu l’hai sempre saputo che una volta che mi avresti trasformato in carne sarei arso di passione», frase che riesce bene a evocare sia la nuova essenza di Pinocchio – fatto di “carne”, ma anche desideri – sia la materia di cui era fatto il burattino, legna che “arde”.
Perfetto il connubio di luci, scenografia e musiche; ottime le interpretazioni, non solo di Carlo Valli, naturalmente, nel ruolo del maturo Pinocchio, ma anche di Lorenzo Grilli (nomen omen, si può dire, nella parte del Grillo parlante), giovane e bravo attore, ma anche acrobata tecnicamente infallibile – un po’ sottotono, invece, l’interpretazione della Fata. Troppo sbrigativo, il finale: ben resa fino alla fine la metafora del teatro che sottende l’intero spettacolo – «La mia vita è stata solo una recita» – ma l’ultima battuta «Come sono contento di essere diventato un ragazzino per bene» va a tradire l’integrità del personaggio, la fermezza delle sue convinzioni, marcandone una moralità praticamente assente. Proprio quest’ultima caratteristica, il linguaggio a tratti spigliato e la profondità di alcuni discorsi non ne fanno uno spettacolo fortemente consigliato ai bambini. Agli adulti, però, sì.
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- Titolo originale: La notte di Pinocchio