Cinema

Lincoln

Antonello Trezza

La guerra civile, la schiavitù, un paese in rivolta ed in rivoluzione: tutto sulle spalle del sedicesimo presidente degli Stati Uniti d’America Abraham Lincoln, raccontato da Steven Spielberg.

1865, Abraham Lincoln è al suo secondo mandato alla Casa Bianca, la nazione è logorata dal suo quarto anno di Guerra Civile e il suo condottiero è pronto a scrivere una delle pagine più importanti della storia degli Stai Uniti d’America.

È essenzialmente questo il nocciolo di un racconto portato sullo schermo da Steven Spielberg, gli ultimi quattro mesi della vita del sedicesimo presidente degli Stati Uniti d’America, Lincoln (ispirato a Team of Rivals: The political genius of Abraham Lincoln, di Doris Kerns Goodwin, bestseller del 2005). Torna quindi, l’America razzista, rievocata già ne Il colore viola e Amistad, torna il tema dell’oppressione, Schindler’s List, torna lo Spielberg che ha fatto la storia del cinema e appassionato e commosso gli spettatori. Ma forse farei meglio a dire, sembra tornare.

Nel suo Lincoln, infatti, non c’è spazio per eventuali identificazioni col personaggio interpretato (magnificamente) da Daniel Day-Lewis. In due ore e mezzo di pellicola, nonostante si scelga di mostrare l’aspetto più intimistico del presidente, quasi sempre nelle sue camere private o, se non così, apparentemente isolato, lontano dalle altre persone. Una chiara metafora della sua condizione di Presidente, di uomo solitario costretto a prendere decisioni importanti per un bene superiore, di un uomo che sceglie sempre di raccontare una storia, un aneddoto, piuttosto che dire direttamente quello che pensa (e l’unica volta che lo fa si vede respingere energicamente dal figlio, Joseph Gordon-Levitt. Insomma, Spielberg crea volutamente un vuoto attorno al suo personaggio con inevitabili ripercussioni sullo spettatore.

Gli unici momenti in cui sentiamo il “brivido”, procurato dai vecchi capolavori succitati, è in due scene in particolare, due spezzoni della sua vita privata: un litigio con la moglie (Sally Field) in preda ad una crisi isterica, rievocante il figlio perduto, e il momento dell’approvazione dell’emendamento, con le campane in festa e le silhouette sue e del figlio minore, Tad, affacciate al balcone dello studio. Non migliora neanche quando l’attenzione si direziona sugli altri personaggi, come quello di Thaddeus Stevens (splendido burbero col parrucchino, Tommy Lee Jones), membro dell’ala estrema del partito Repubblicano che inneggia all’uguaglianza delle razze non solo dinanzi la legge, ma nella vita di tutti i giorni. La distanza dal protagonista fa apprezzare, però, la magnifica messa in scena, la cura nei dettagli e la maestria con cui un levigato uomo di cinema come Spielberg riesce a raccontare la scialba storia di Tony Kushner (priva di veri momenti di presa e suspense). Poi ci sarebbe da sottolineare la “casuale” uscita del film proprio durante le elezioni per il secondo mandato di Obama, ma questa è tutt’altra Storia…


Dettagli

  • Titolo originale: Id.
  • Regia: Steven Spielberg
  • Fotografia: Janusz Kaminski
  • Musiche: John Williams
  • Cast: Daniel Day-Lewis, Sally Field, Tommy Lee Jones, Joseph Gordon-Levitt, Hal Holbrook, James Spader, David Strathairn, Jackie Earle Haley, Jared Harris, Tim Blake Nelson
  • Sceneggiatura: Tony Kushner

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