#LeTreLetture. Il 2013 in tre libri
Libri pubblicati, letti e amati nell’arco del 2013: una piccola classifica a cura di F. Fichera.
Non è certamente facile condensare un anno di pubblicazioni in sole tre scelte. Ma è possibile, come tutti i tentativi. Anche perché in realtà ciò che non si prova a fare è una cosa: leggere tutte le novità editoriali dell’anno. Quello sì che è impossibile riuscire a farlo. Però qualcuna di queste passa, vuoi per il passaparola spontaneo, vuoi per quello pilotato (da classifiche fin troppo immobili). E per fortuna, c’è da dire in alcuni casi (non tutti, si badi bene).
Quindi, dall’immenso mare di libri – ingiustamente o giustamente – sommersi dal 2013, cosa si è salvato? Per la sottoscritta, in primis i seguenti tre volumi. A cominciare dal terzultimo, che è:
– Femmine un giorno di Elena Commessatti, prova di maturità e di originalità – due cose estremamente rare nel panorama nostrano – annoverata fra le scelte migliori del catalogo di narrativa della Bébert edizioni. Un giallo sui generis dalla scrittura elegante e fluida, sinestetica e profonda, in cui la finzione fa da tramite razionale alla denuncia. E quando al posto dello strillo si usa il filtro del dettaglio, il dramma delle “donne dimenticate” del Paese riacquisisce tutto il senso di realtà e di verità che le pericolose generalizzazioni in voga rischiano spesso di far perdere.
Merita l’”argento” invece
– Morti di fama, di Giovanni Arduino e Loredana Lipperini. Che (mi auguro) a molti di voi non suonerà nuovo, visto che qui su Scene se n’è parlato molto, dal libro in quanto libro all’universo che ha spinto i sue due autori a crearlo, e cioè: la generazione dei mi-piace. Dalla collana I libri del benessere della casa editrice Corbaccio, un saggio imprescindibile, dalla leggerezza che non perdona, sulla fama ai tempi di Facebook, di Amazon e della mitomania 2.0.
Ed è veramente preziosa la vetta, su cui spicca
– La misura del danno, di Andrea Pomella, edito da Fernandel. Uno spaccato della crisi vista e vissuta sotto un diverso punto di vista: quello di un uomo di mezza età estraneo al contesto a cui tenta in tutti i modi di adattarsi, e da cui finisce irrimediabilmente per essere schiacciato. Un po’ a voler dire: alla natura non si comanda, come al cuore. La scrittura di Pomella ha il pregio di descrivere la banalità del male – della società, ma anche e soprattutto dell’Italia – senza mai sfiorare i suoi argomenti. E senza mai auto-compiacersi, bensì superando ogni tendenza – di quest’anno come del decennio che l’ha preceduto – alla sovraesposizione.