Arti Performative

Lenz Fondazione // Autodafé

Renata Savo

Dopo Verdi Re Lear (2015), reinvenzione drammaturgica dell’opera mancata di Giuseppe Verdi ispirata alla tragedia di Shakespeare – autore con cui il compositore emiliano aveva cercato più volte il confronto – Lenz Fondazione si è vista commissionare un nuovo lavoro per il Festival Verdi promosso dal Teatro Regio di Parma.

Partendo da quella che avrebbe potuto anche evocare una scena scritta da Verdi per il Re Lear, con il proprio inconfondibile stile Maria Federica Maestri e Francesco Pititto hanno coniugato la richiesta del teatro d’opera parmigiano in un’installazione performativa site-specific ispirata al III atto del Don Carlo, opera peraltro considerata “incompiuta” di Giuseppe Verdi, mai giunta a una versione definitiva.

I due direttori artistici di Lenz Fondazione, infatti, hanno preso ispirazione per Autodafé – questo il titolo del lavoro – da un frangente tra i più potenti e drammatici dell’intera produzione operistica verdiana: il duetto tra Filippo II, re di Spagna, e il Grande Inquisitore, duetto-duello emblematico del conflitto tra ragioni di Stato e ragioni di Chiesa, la cui partitura sonora, pregna di tonalità cromatiche brune dovute al suono grave degli ottoni, riflette appieno il peso di una tensione secolare, sotterranea ma onnipresente.

Gli spettatori non assistono in senso stretto alla drammaturgia verdiana, ma quasi la fruiscono dall’interno, diventando parte integrante dello spazio algido dell’ala napoleonica dell’ex carcere di San Francesco a Parma, città che ha accolto l’invito di Lenz Fondazione a ospitare il lavoro. Una cerimonia coram populo prende vita, dove sfilano eretici, streghe, indistinguibili gli uni dagli altri; inquisiti e inquisitori, attori e cantanti. L’identità del singolo si consuma e sublima infatti nell’astrazione della “figura”, nel gruppo di anonime anime condannate dal tribunale dell’Inquisizione.

Lo spazio scenico in cui siamo immersi non rappresenta bensì è un luogo del passato non troppo lontano, nulla, però, che sia già familiare, anzi: sulle pareti luride dell’ex luogo di pena e detenzione, appesi ancora, i poster dei detenuti, articoli di giornale, lasciati lì probabilmente dagli anni Novanta. Questo cemento, grigio, sporco, freddo, e queste sbarre dietro le quali chi vi si trova perde ogni dignità, sono più freddi del clima esterno di un giorno prematuramente gelido dell’ottobre emiliano.

Basterebbe quest’aria fredda, il respiro di sofferenza da un lato e l’impassibilità dall’altro, a calare il pubblico in una dimensione trasfigurante. Eppure, soffermarsi su questa soglia tra passato remoto, passato prossimo e presente, significa essere presi d’assalto da sensazioni diverse, forse anche troppo, da uscirne confusi. Confusi come il vociare dei “detenuti” che immaginiamo, le urla dei personaggi reclusi e condannati dall’Inquisizione, e infine, le voci degli attori nel posto in cui siamo. In questo tempo uno e trino, gli spettatori, inquisitori anch’essi nel senso etimologico del termine, camminano per gli stretti corridoi che conducono alle prigioni: dentro, gli attori in foggia cinquecentesca, stanno aggrappati alle sbarre e invocano aiuto, implorano i passanti con occhi vuoti di chi ha perso tutto e cui non resta neppure la vita salva. Stando in ginocchio lo sguardo verso l’alto non invoca un cielo in cui non hanno più creduto, ma piuttosto è rivolto verso di noi, esseri impotenti o non abbastanza compassionevoli: guardiamo e ascoltiamo cos’hanno da dirci, ma le loro suppliche sembrano eco lontane. Il lavoro di messa in forma visiva in alcuni momenti sembra trascinarci di meno nella voragine delle emozioni rispetto alla profondità metaforica del paesaggio in cui ci troviamo: essere dentro l’ex carcere è già come sprofondare in un Inferno senza dannati, un posto che, tuttavia, come è stato osservato, ha «una storia segnata nel profondo da epoche in cui religione e politica si sono avvicendate senza troppi ripensamenti», e che quindi pure si direbbe predisposto ad accogliere il conflitto drammatico dell’opera verdiana. E allora, il compito di tenere uniti insieme la stratificazione dei tempi evocati, come avrebbe fatto di sicuro lo stesso Giuseppe Verdi, è affidato proprio alla musica. Pregevole il lavoro complesso, di riscrittura sonora, curato da Andrea Azzali, che ha saputo amalgamare spazio e azione, passato e presente. La musica è l’elemento astratto e spersonalizzante che consente di comprendere e apprezzare l’”imagoturgia” di Francesco Pititto, il quale ha predisposto la presenza di proiettori lungo il corridoio principale dell’ex carcere che rinviano al soffitto i primi piani degli attori sensibili: immagini-specchio di identità frantumate e marchio di fabbrica di Lenz Fondazione, ripetute in altra forma – e formato – all’interno delle stesse celle, in piccoli schermi installati per l’occasione.

Perfetto sarebbe stato restare da soli con la scena, nel tentativo di costruire una maggiore empatia, un’intimità pura, come “puro” è stato camminare in uno dei corridoi da cui proveniva il canto, quando il gruppo di spettatori era catalizzato dalla zona principale. Invece – e, giustamente, altri direbbero “per fortuna” – il “tutto esaurito”, la presenza del numero massimo prevedibile di persone esterne alla performance, ha comportato un personalissimo distacco e qualche difficoltà nella fruizione.


Dettagli

  • Titolo originale: Autodafé
  • Regia: Maria Federica Maestri
  • Anno di Uscita: 2016
  • Produzione: Lenz Fondazione In collaborazione con Teatro Regio, Festival Verdi, Conservatorio A. Boito di Parma, Ars Canto
  • Cast: Domenico Mento basso; Coro Voci Giovanili Ars Canto diretto da Gabriella Corsaro: Elena Alfieri, Jacopo Antonaci, Eugenio De Giacomi, Guido Larghi, Gioele Malvica, Giovanni Pelosi, Giacomo Rastelli, Michelangelo Turchi Sassi; performer: Valentina Barbarini, Walter Bastiani, Paolo Maccini, Delfina Rivieri, Sandra Soncini, Carlotta Spaggiari, Barbara Voghera; e Lara Bonvini, Marco Cavellini, Chiara Garzo, Federica Goni, Silvia Settimj
  • Altro: Rielaborazioni musicali, visuali e performative dal III atto del Don Carlo di G. Verdi


Altro

  • Installazione: Maria Federica Maestri
  • Imagoturgia: Francesco Pititto
  • Disegno Sonoro: Andrea Azzali
  • Visto il: Sabato, 22 Ottobre 2016
  • Visto al: ex carcere di San Francesco, Parma

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