Le masterclass di T*Danse: per un’idea democratica di movimento
T*Danse non è solo il Festival che coniuga danza e tecnologie ma è anche lo spazio ideale perché queste ultime incontrino concretamene il pubblico. Proprio in quest’ottica sono state pensate le Masterclass e i laboratori che hanno integrato le attività dell’evento valdostano, prima e durante il festival. I direttori artistici Marco Chenevier e Francesca Fini, oltre ad offrire l’occasione per volgere lo sguardo alla danza contemporanea internazionale, hanno previsto degli incontri pratici con gli artisti ospiti e protagonisti delle performance, aperti a un pubblico di danzatori, attori, registi, professionisti, ma anche semplici curiosi e appassionati.
Freaky Control: tutto ciò che serve per comunicare sul palco di Kulu Orr, regista e performer israeliano, è stata forse la masterclass più completa per quel che riguarda il processo di costruzione della comunicazione sul palcoscenico. Abbastanza distante dall’idea di danza in senso tradizionale, performativo, l’incontro è stato piuttosto improntato sulla tecnologia e l’informatica musicale che possono accompagnare il movimento. Il performer si serve di una tuta impuntita di micro-pc e altri accessori digitali indossabili che mandano impulsi e comandi a una loop station a pedale. Ne risulta una musica dal vivo all’avanguardia, combinata con abilità circensi, fisiche, informatiche. Nelle sue movenze Kulu Orr sembra prendere spunto dalla tendenza molto viva nel panorama della danza contemporanea che utilizza il corpo come strumento a percussioni, qui pigiando i dispositivi informatici di cui è rivestito. Il suo corpo diventa un tamburo, una batteria digitale. Kulu Orr va sicuramente incontro ai gusti del pubblico più giovane associando queste difficili tecniche di produzione musicale a numeri di giocoleria. L’incontro assume una dimensione ludica quando comincia a costruire palline da giocoliere riempendo dei palloncini colorati con della sabbia. Così come le mani che percuotono il corpo, anche le sfere colorate da giocoliere che volano roteando sulla testa del performer e rimbalzano sulle casse e sui dispositivi, danno vita a suoni elettronici di diverse vibrazioni e intensità. Anche il pubblico, diventando parte attiva del processo performativo, viene invitato ad indossare dei cappellini con accessori speciali al cui tocco corrisponde un preciso segnale informatico che crea diverse combinazioni sonore.
Completamente diversa è stata invece la masterclass Dynamis – un teatro elementare a cura di Dynamis, gruppo multidisciplinare di ricerca teatrale romano. Dall’incontro emerge come la performance finale sia il risultato di un incrocio tra molteplici fattori che vanno dai principi della biomeccanica, della filosofia, della sociologia alle nuove tecnologie informatiche, che però trovano nel teatro uno stabile punto di equilibrio. L’azione è sempre un qualcosa di dinamico, costantemente in divenire, non c’è mai stasi e la drammaturgia è frutto di una ricerca raffinata che scaturisce da alcuni interrogativi molto semplici: chi sono? da dove vengo? dove vado?
Sono queste le domande a cui devono provare a rispondere i partecipanti della masterclass, con l’obiettivo di fornire al gruppo di lavoro una semplice presentazione individuale. Segue una sorta di training, un allenamento alla creatività fatto di giochi di associazioni di parole, di formulazione di testi da abbinare ad alcune foto richieste ai partecipanti e che ciascuno mostra dai propri smartphone. Si ripercorre un metodo, si entra a contatto con un preciso dispositivo creativo per far comprendere cosa significa confrontarsi e comunicare con gli altri; il tutto attraverso l’esplorazione della dinamica esistente tra azione e reazione. L’interazione con il pubblico è costante ma non per la volontà di un semplice abbattimento della quarta parete, bensì per indagare quale sia la condizione dello spettatore, il suo stato, la sua risposta all’interno della performance.
Obstruction Technique di Palle Granhøj è stato in quei giorni quanto più si avvicinava a un vero e proprio laboratorio coreografico. Tenuta dal coreografo e danzatore ungherese Laszlo Fulop della Granhøj Dance Company, questa masterclass è stata un’occasione per accostarsi a un processo di composizione coreografica ad alto contenuto tecnico in cui la produzione del materiale parte da una frase di movimento codificato ed esplora ciò che guida il moto dei danzatori non solo dal punto di vista fisico ma anche a livello relazionale e inconscio. La classe ha ospitato molti adolescenti, tra cui anche alcuni danzatori, ai quali è stato chiesto di comporre una breve frase di movimento. Ognuno ha eseguito la propria creazione e successivamente ha ripetuto l’esecuzione trattenuto fisicamente da uno o più compagni. Fulop ha spiegato che si tratta di un preciso metodo di lavoro chiamato obstruction technique, ossia, la tecnica dell’ostruzione. L’impedimento fisico consente al danzatore, costretto e compresso nella propria libertà di movimento, di ricercarne l’origine, il centro da cui nasce e si diffonde l’energia necessaria al movimento stesso. Dall’ostruzione derivano altri blocchi coreografici che possono essere, a loro volta, compressi all’infinito riducendo la sequenza alla sua vera essenza. Un’esperienza fortemente fisica ma che, nonostante il suo tecnicismo, resta accessibile a tutti.
Si tratta della stessa comprensibilità propria del teatro di ricerca dei Dynamis, con le loro ironiche interazioni tra pubblico e performer, o ancora, della commistione tra le tecniche espressive di musica, movimento, informatica e giocoleria di Kulu Orr; un’agevolezza di lettura scenica che risponde pienamente a un’idea democratica della danza, motrice di T*Danse, manifesta espressione di un movimento, o meglio, di un moto del corpo e della mente in linea con le urgenze della nostra contemporaneità.
[Immagine di copertina: foto di Filippo Maria Pontiggia]