Libri

La visione di Huxley

Roberta Iadevaia

Cinquant’anni fa moriva il grande scrittore inglese Aldous Huxley, lasciando le sue opere e le sue idee all’eternità.

Il 22 novembre 1963, mentre gli occhi del mondo erano puntati su Dallas per l’assassinio  di J. F. Kennedy,  lo scrittore inglese Aldous Huxley spirava in un ospedale di Hollywood, sopraffatto dal cancro alla laringe diagnosticatogli tre anni prima.

Se la sua morte non ebbe forse la risonanza che meritava, la sua vita e le sue opere – tra tutte Il mondo nuovo (Brave New Word) e Le porte della percezione (The Doors of Perception) – hanno avuto e continuano ad avere tuttora, a cinquant’anni dalla morte, grandissima importanza nel panorama letterario, nonché in quello musicale – ispirando band come The Doors e Iron Maiden – e cinematografico (da ricordare senz’altro il lungometraggio della Disney Alice nel Paese delle Meraviglie di cui egli stesso fu co-sceneggiatore).

Nato nel 1894 da una famiglia di illustri biologi e medici, il suo sogno di una carriera scientifica viene stroncato da una grave forma di cheratite che gli fa perdere quasi completamente la vista; tuttavia Huxley riesce ugualmente a laurearsi in Letteratura inglese, e successivamente in Scienze biologiche tramite l’apprendimento del Braille. Durante il primo conflitto mondiale, lo scrittore si dedica a vari lavori tra cui l’insegnamento, annoverando tra i suoi allievi George Orwell.

Negli anni Venti compone una serie di opere satiriche (Giallo cromo, Punto contro punto) in cui già si riscontrano la scrittura erudita nonché l’abilità con cui lo scrittore riesce a mettere a nudo la fragilità e le contraddizioni della società a lui contemporanea; caratteristiche, queste, che confluiranno nel suo celebre romanzo Il mondo nuovo del 1932.

Pregevole esempio di fantascienza distopica, l’opera è ambientata in un immaginario stato totalitario del futuro in cui tutto è pianificato nel nome del razionalismo produttivistico: gli abitanti di questa società apparentemente perfetta, che non conosce malattie né guerre, vengono infatti concepiti in provetta e condizionati durante l’infanzia al fine di farli adattare perfettamente alla casta decisa per loro; senso della famiglia e sentimenti sono aboliti così come lo studio della storia, ritenuto inutile e pericoloso. Questo terribile equilibrio ottenuto attraverso tecnologia e droghe sarà messo in discussione da John, un giovane cresciuto in un’isola non controllata, ma la sua lotta contro la massificazione nulla potrà contro quella volontà collettiva “che ha il vigore fisico di una divinità ma anche la mentalità di un delinquente di quattordici anni”, come la definisce Huxley in una lettera alla scrittrice Silvina Ocampo.

Il successo de Il mondo nuovo e il dibattito che ne è scaturito spingono Huxley a pubblicare, nel 1958, Ritorno al mondo nuovo (Brave New Word Revisited), una raccolta di saggi in cui l’autore riprende e analizza singolarmente i pilastri ideologici del fortunato romanzo per dimostrare che molte delle sue catastrofiche previsioni del ’32 si erano già drammaticamente realizzate.

Successivamente Huxley si allontana dalla fantascienza per dedicarsi alle sue antiche passioni  storiche e filosofiche: nel 1952 compone una delle sue opere più riuscite, I diavoli di Loudun (The Devils of Loudun),  rigorosa ricostruzione storica di un processo per stregoneria ambientato nella Francia del Seicento, apprezzato dalla critica per la ricchezza e la diversità dei temi trattati.

Seguono poi i famosi saggi Le porte della percezione (1954) e Paradiso e inferno (1956) in cui lo scrittore racconta gli effetti derivati dall’auto-somministrazione di mescalina e acido lisergico – per il quale conia il termine “psichedelico” in quanto utile alla conoscenza della psiche umana; droghe che, secondo Huxley, forniscono la consapevolezza dell’esistenza di un altro mondo in cui le categorie di spazio e tempo non sono più valide e nel quale tutto ciò che accade è scisso da qualsiasi sensazione utilitaristica. Tali opere risentono in maniera consistente degli studi esoterici e mistici intrapresi dall’autore fin da giovane alimentati dai frequenti viaggi in India e divengono ben presto molto lette e apprezzate dalle prime comunità hippie.

Benché in Italia bisognerà aspettare gli anni Sessanta per i primi studi dedicati alla sua produzione, e nonostante le critiche e le perplessità avanzate da personalità del calibro di George Orwell, Virginia Woolf, T.S. Eliot e Adorno, Huxley è oggi considerato uno dei massimi esponenti del genere fantascientifico, al cui interno ha avuto il merito di anticipare tematiche come l’eugenetica, il controllo mentale e quello delle nascite, con largo seguito allora e adesso.

Pochi come lui hanno saputo descrivere in maniera così attenta e profonda le insidie, le menzogne e i terribili sacrifici richiesti dalle società pseudo-avanzate in nome di un benessere mostruoso, e forse nessuno è riuscito a rappresentare in maniera altrettanto articolata quei pochi, disperati tentativi di costruzione di mondi migliori attraverso vie alternative perpetrati da quegli sparuti “selvaggi” come John. Come Huxley.



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