La paranza dei bambini
Per chi conosce il dialetto napoletano, il termine “paranza” risulta familiare, soprattutto nella gastronomia. Quindi di per sé, è un idioma che ha un’accezione positiva. D’altro canto, ultimamente ha nel gergo popolare campano anche un’accezione negativa, poiché è collegabile alla parte più oscura, preoccupante e pericolosa della città di Napoli, ossia il mondo della criminalità organizzata.
Il titolo del film di Claudio Giovannesi (tratto dal romanzo omonimo di Roberto Saviano e premiato per la miglior sceneggiatura allo scorso festival di Berlino) è appunto la paranza dei bambini, ed è interessante già dal titolo (inoltre, è recitato interamente in napoletano, una scelta – volta a dare preminenza al dialetto – che nella storia del cinema italiano era cara per molteplici motivi al Neorealismo).
Riprendendo l’etimologia culinaria, la paranza è un agglomerato di pesce che viene pescato in mare, con una fitta rete ed attraverso una luce abbagliante, dalla quale i pesci non possono avere scampo. Il concetto di agglomerato rientra anche nel contesto criminale, ove la paranza è un gruppo indissolubile di amici, di fratelli, di colleghi del crimine, pronti a ritagliarsi un posto rilevante all’interno del mondo illegale dei quartieri partenopei.
Seguendo anche un idioma anglosassone, il film affronta il tema delle baby-gang, quindi di quelle piccole criminalità di adolescenti che eseguono nel territorio svariati reati, e che rappresentano a pieno il concetto filosofico di “gioventù bruciata”.
La rete della camorra attira a sé il gruppo di Nicola, un ragazzo con svariate difficoltà familiari: è senza padre, la madre lavora in una lavanderia ed è costretta a pagare il pizzo, il fratellino vive senza punti di riferimento. Il modo per risolvere la drammatica condizione personale e sociale è quello di darsi alla malavita insieme agli amici di sempre, infiltrandosi nelle dinamiche e al servizio delle famiglie mafiose, per iniziare la scalata nel mondo criminale di una Napoli dimenticata dalle istituzioni e dalle forze dell’ordine, ove vigono le regole da far west, ossia quella del più forte, e quella del chi è disposto a vivere senza coscienza.
La via della criminalità suscita e crea fascino, guadagno facile, condizione privilegiata e benessere materialistico, quindi induce inconsciamente l’irrefrenabile ambizione dei protagonisti, ignari – come lo è spesso la mente infantile – delle conseguenze.
La via della criminalità migliora in tutto e per tutto la vita quotidiana di Nicola: trova una fidanzata, con la quale condivide momenti rilassanti ed emozioni nuove, risolve le questioni con la madre, diventa una sorta di padre per il fratello, ed inoltre un leader carismatico e giusto per la paranza.
Eppure, la vita criminale fa scattare automaticamente una spada di Damocle, ossia l’avidità: la via del benessere esalta il desiderio di averne sempre di più, e di ottenere un potere sempre maggiore, che renda invincibili e intoccabili, rispecchiando l’animo imperfetto e mai appagato dell’uomo.
Da ciò scatta il format – da gangster movie modernista – approntato dal regista, ove l’ascesa e la discesa sono parallelamente vicine e si susseguono in maniera repentina, senza che i protagonisti e lo spettatore se ne accorgano. Un percorso ondulatorio che l’autore mette agli occhi del pubblico quasi come inevitabile, quasi come se questi ragazzi non potessero sfuggire al proprio destino. Perché il problema dello stile di vita dell’altra faccia di Napoli non è solo culturale o storico, ma è principalmente sociale, perché a tali ragazzi mancano delle linee guida che gli indichino cosa è giusto e cosa è sbagliato, cosa propone la vita e cosa sconsiglia, quali conseguenze portino tutte le proprie scelte, dalle più futili alle più decisive.
È un problema sociale, perché il contesto offre poco o nulla, perché le istituzioni sono assenti, perché manca un’educazione civica radicata, e da tutte queste mancanze il vortice della criminalità può insediarsi sempre più come un virus invisibile e attrarre a sé tutti quei ragazzi che sono pronti a far tutto pur di cambiare la propria quotidianità, scegliendo d’altronde anche l’unica strada che gli si presenta.
La digressione – va specificato – esula da una posizione di critica sociale che il film di Giovannesi non enfatizza, anzi il regista si mette in secondo piano per lasciar spazio alla storia e alla narrazione, ai sentimenti e alle condizioni psicologiche dei protagonisti, senza avviarsi in commenti indiretti o verso slogan pubblici e/o sociali. La paranza dei bambini è un’opera che raffigura degli scorci di vita come se fosse un documentario, ove la morale non ne fa da padrone; è preminente invece, la condizione esistenziale e mnemonica dei ragazzi, ove lo spettatore è come un turista, ossia si catapulta in un quartiere e ne osserva le spiccate peculiarità, dalle più superficiali, alle più profonde.
E il film, diviene esaustivo, proprio perché riflette quella dinamicità della vita giovanile, quella velocità dell’ascesa e della discesa nel mondo criminale, ove il tempo è sbarazzino, e fugge ancor più rispetto ad un’esistenza equilibrata e legale. Un racconto dinamico, cosparso di contenuti scenici, ove l’unico pilastro per i protagonisti è l’amicizia, che si divide nettamente in due facce: quella della convenienza, ove a lungo andare i rapporti si deteriorano a causa delle ambizioni personali, e quella pura e indissolubile, ove la condizione dell’altro supera il bene individuale.
E all’interno dell’opera, i valori dell’amicizia, dell’amore, della famiglia – seppur macchiati da una spirale inibitoria – sono pur sempre vitali e divengono delle ancore di salvataggio dai problemi emotivi e fisici, che il mondo criminale inevitabilmente comporta.
Così come per la paranza culinaria, anche per quella criminale e camorristica il destino è la perdita della libertà, il vivere in trappola, l’essere attirati da una luce che è solamente illusoria, come il faro verde della speranza nel Grande Gatsby. Vivere in una rete che è come una sfera di cristallo, ove si fa qualsiasi cosa, senza poi pensare alle conseguenze che si attivano al di fuori di quel mondo, all’esterno di quella rete. L’entrata nella rete, che rappresenta la perdita dell’innocenza, la fine dello status di bambini, perché quella rete è il mondo degli adulti, il mondo anzi più oscuro e malvagio dei grandi, ove nessuno ti guarda più come un ragazzino, da perdonare e da giustificare. In quella rete si entra senza consapevolezza e senza raziocinio, e prima o poi ci si rende conto che la cosa più difficile è provare a uscirne, senza inoltre, perdere niente e nessuno.
- Diretto da: Claudio Giovannesi
- Prodotto da: Carlo Degli Esposti, Nicola Serra
- Scritto da: Claudio Giovannesi, Roberto Saviano, Maurizio Braucci
- Musiche di: Andrea Moscianese, Claudio Giovannesi
- Fotografia di: Daniele Ciprì
- Montato da: Giuseppe Trepiccione
- Distribuito da: Vision Distribution (Italia)
- Data di uscita: 12/02/2019 (Berlino), 13/02/2019 (Italia)
- Durata: 105 minuti
- Paese: Italia
- Lingua: Italiano, napoletano