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“La frontiera”: ferita e sorgente dei teatri di Margine Operativo

Redazione

Che cos’è la frontiera? Da sempre, secondo Margine Operativo, è una ferita ed una sorgente. Uno spazio a volume zero che però si può estroflettere e divenire una piazza, un palazzo, un teatro. E così in quel teatro al piano terra di una palazzina romana che è il Teatro Argot, calcando quanto mai l’attualità politico-mediatica, La frontiera diventa il soggetto di un’indagine. Condotta sulle spalle e nella voce di Tiziano Panici, che accoglie il pubblico in una sala buia, accovacciato in un angolo come in attesa di giudizio. Le prime sue parole – ma si tratta di una voce fuori campo, sia pure ancor la sua – non lasciano dubbi sul tono di denuncia che gli ideatori Alessandra Ferraro e Pako Graziani hanno scelto. Chi conosce Margine Operativo non si stupirà. Quelle prime parole raccontano l’accoglienza ostile messa a verbale all’inizio del secolo scorso a Staten Island, l’attracco newyorkese delle centinaia di migliaia di migranti italiani. Connazionali maleodoranti e poco inclini al lavoro, devoti piuttosto a rimpolpare la dilagante malavita che viene sempre con lo straniero. Ma la provenienza di queste parole non è dichiarata subito: per qualche minuto crediamo siano quelle di un qualunque xenofobo nostrano d’oggigiorno. La forza de La frontiera sta nel suo essere un’apostrofe continua e diretta al pubblico in quanto comunità civica: senza filtri, ma anche senza abbattere davvero la quarta parete, ogni parte della struttura dello spettacolo si rivolge a un interrogativo che ci tocca nel vivo. Siamo posti di fronte alle vicende di alcuni che hanno tentato di attraversare quel confine che per vizio e virtù della Storia ci unisce sotto un unico stato dentro lo Stivale. Un attraversamento in entrata, dentro il Mediterraneo sempre più gonfio di sepolcri abissali, ed in uscita, lungo le Alpi che la nostra cultura del turismo ha ormai eletto a luogo ameno per sciatori e flâneurs d’alta quota. Panici introduce le storie di un naufragio, nell’indagine subacquea di un relitto-sarcofago che immerge la scena in un’atmosfera bluastra e sospesa, e poi quella dell’alta montagna, con un giovane migrante che in solitudine tenta lo sconfinamento presso Bardonecchia. Secondo un montaggio di materiali eterogenei cui Margine Operativo ci ha abituato, compare poi proiettato il caravaggesco Martirio di San Matteo in San Luigi dei Francesi. Qui Panici diventa una guida dell’opera pittorica, e invita a immedesimarci nel Caravaggio che si ritrae in miserabile fuga dalla scena dell’assassinio. Di spalle alla violenza, incapace a fermarla ma con gli occhi ben puntati su di essa. Non è questa una metafora calzante del nostro essere spettatori inerti dei naufragi, veri e metaforici, con gli occhi sempre ben puntati sulle immagini di morte che i media ci riportano? Al nostro essere voyeur, infatti, siamo riportati da La frontiera. D’altro canto, è sempre un rischio toccare il confine. Per restare a Roma, Romolo e Remo insegnano. Ma l’attraversamento produce trasfigurazione insieme alla morte. Passa anche questo da Tiziano Panici, nella drammaturgia liberamente tratta da testi di Alessandro Leogrande, Annalisa Camilli, Cormac McCarthy: questi migranti sciagurati hanno vissuto, nell’ordalia dell’attraversamento, una dimensione eroica che, una volta tanto, li redime e li eleva ben più su dei nostri sguardi social-mediatici, in un eroismo cui forse noi occidentali intronizzati nella ben confinata Europa abbiamo rinunciato, in nome del ricco fortino da tenere. Ciò che manca a questo spettacolo, per non essere troppo generosi, è però il passaggio pieno di questa sacrosanta vis polemica, nel linguaggio proprio della rappresentazione: tanto nell’interpretazione che nella drammaturgia manca quel guizzo poetico per spingere più a fondo nella coscienza del pubblico il dilemma politico, oltrepassando fino in fondo il confine dal piano etico a quell’estetico, e rendere il primo il cuore pulsante del secondo.    

(ANDREA ZANGARI)

 

Fare teatro: un’oper-azione meticcia

di RENATA SAVO

La ricerca estetica di Margine Operativo, in quanto compagnia teatrale oltre che progetto artistico indipendente romano, travalica le consuetudinarie modalità con cui si tenta di approcciare un’opera. Più che di “opera” ciascun lavoro della compagnia è un’oper-azione, un’indagine che, senza precludersi nessuna possibilità di integrazione tra linguaggi diversi (per questo la compagnia ama usare la bellissima definizione di “meticciato artistico”), anche adottando persino a volte forme sfuggenti, quasi crepuscolari, connette l’evento scenico all’essere cittadini, alle possibili interferenze tra arte e luoghi non convenzionali, e quindi all’archetipo stesso dell’agorà, dove il dialogo con una comunità specifica, non vastissima (numerosa tanto quanto basta a fare resistenza) ma consapevole, è imprescindibile dalla ricerca, drammaturgica e degli strumenti estetici. Da qui, ci piace pensare, il nome che hanno scelto a partire dal 1993, dove oltre all'”operatività” viene messo in evidenza quel “Margine” che rimanda a ciò che è “marginale”, periferico, ma che proprio per questa sua caratteristica, forse, si fa in grado di ridefinire i contorni stessi del reale, attivando la consapevolezza alla base delle piccole e grandi rivoluzioni sociali. Come ha scritto Letizia Bernazza, nel volume dedicato alle numerose attività della compagnia, «il margine diviene – parafrasando Bell Hooks [Elogio del margine, Feltrinelli 1998] – la frontiera libera e creativa della rappresentazione del Sé. […] Operativo non è soltanto l’atto in grado di operare, bensì qualcosa che può produrre pensiero critico, funzionale, a stimolare nell’individuo un modo “altro” di percepire l’universo Mondo». Se quindi gli spettacoli di Margine Operativo sono operazioni che fanno fuoriuscire lo spettacolo dai suoi parametri estetici contemplabili, viceversa, le stesse numerose manifestazioni, festival e format culturali – in particolare l’ancora vivace Attraversamenti Multipli – di cui Alessandra Ferraro e Pako Graziani sono i direttori artistici sono trattati come se fossero dei “manufatti artistici”, che hanno offerto al pubblico la possibilità di scoprire nuove voci del panorama teatrale contemporaneo. Sulla multipla e fluida identità di Margine Operativo, la monografia I teatri di Margine Operativo a cura di Andrea Pocosgnich, edito da Editoria&Spettacolo per la collana Spaesamenti curata da Paolo Ruffini (qui il link al sito della casa editrice).

Il libro inizia scorrendo sul filo della memoria, con una lunga intervista del curatore ai due fondatori, a partire da Progetto Majakovskij, format itinerante e che si svolse in tre centri sociali romani, per il centenario della nascita del poeta russo, e da cui si dipanò l’obiettivo, sempre perseguito e realizzato (da soli o insieme ad altre realtà indipendenti romane), di far riflettere sull’importanza delle utopie e delle avanguardie. Attraverso la parola, la fisicità e la musica, ma anche costruendo delle performance in cui il “frammento” si fa cellula narrativa capace di rimandare a un “tutto”, il margine che riporta al centro, e al cuore, delle cose. Andrea Pocosgnich, nel uso intervento dal titolo Margine Operativo. Un teatro politico per indagare la realtà affronta lo stretto legame tra modalità produttive e modalità comunicative, tra contesti, luoghi e pratiche di utilizzo degli stessi da parte del gruppo, che grazie all’attività organizzativa ha contribuito alla crescita e al riconoscimento di molti gruppi teatrali e di danza, di ricerca, noti a livello nazionale (da Fortebraccio Teatro a Fattore K, da Balletto Civile a ColletivO CineticO), sottolineando come alla moltiplicazione delle pratiche sia corrisposta la moltiplicazione dei linguaggi nella produzione artistica, con drammaturgie intessute di temi politici e civili, ma anche di documenti originali, come le lettere dei partigiani in Partizan Let’s Go! (2014), dove ad esempio viene trattato il tema purtroppo attualissimo del riconoscimento dei nuovi e vecchi fascismi. Accanto alle testimonianze degli artisti che hanno lavorato o documentato il lavoro di e con Margine Operativo, infatti, il volume contiene il testo di questo spettacolo, di Presunta morte naturale (2015), sul caso della morte di Stefano Cucchi, e Al palo della morte (2016), spettacolo liberamente ispirato all’omonimo libro di Giuliano Santoro, in cui due attori danno voce a una “polifonia di punti di vista” narranti l’omicidio di un uomo pakistano di nome Shahzad, per ragionare sul significato simbolico di quell’evento.
La monografia, quindi, vuole e riesce a configurarsi sia come l’insieme delle tracce che sottendono l’attività di una compagnia indipendente che ha tradotto politicamente fatti di cronaca e temi caldi della nostra coscienza storica passata e recente in una materia pulsante, aperta, viva e condivisibile su un palcoscenico, sia come una testimonianza di che cosa abbia significato, e significhi ancora, fare teatro indipendente a Roma in quest’ultimo trentennio. Da dove partire, come muoversi, dove arrivare. Spazi chiudono, spazi riaprono, altri inaugurano, molti si contaminano a vicenda, non sono zolle isolate, e forse questa è una delle caratteristiche salienti della teatralità romana. In uno di questi, allo Spin Time Lab di via Statilia 15, alle 18.30 sarà presentato domenica 31 marzo il volume in compagnia del collettivo SpinOFF, Paolo Ruffini, Alessandra Ferraro e Pako Graziani. Seguirà la visione dello spettacolo La frontiera alle 21.

«Il teatro di Margine Operativo è quello del fare e pensare gli spazi, occupare le aree di transito, muovere dalla resilienza un afflato di resistenza, pronto a sfaldarsi, a industrializzarsi, e al contempo a imbarbarirsi in una strenua “lotta” al revanscismo antimoderno, antilogico, poiché ideologico, ma ideologicamente avventuriero in quell’oltre liminale della corporeità “impressionata” dell’imperfezione della vita.» (Paolo Ruffini, in I teatri di Margine Operativo, cfr. p. 130)

[Immagine di copertina: La frontiera. Foto di Manuela Giusto]

 

Per approfondire:

RENATA SAVO, Sedici anni di Attraversamenti Multipli nella capitale. Intervista ai direttori artistici, 17.10.2016

RENATA SAVO, ANDREA ZANGARI, ‘Attraversamenti Multipli’ nel quartiere Quadraro di Roma: il corpo sacro del teatro, 22.09.2018



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