Editoriali

La cultura delle politiche

Franco Cappuccio

Le elezioni politiche ci impongono ad un bivio dal quale il sistema-Paese deve uscire, e la cultura può e deve diventare motore di questo cambiamento.

Il 2013 è un anno molto importante per il nostro Paese; gli ultimi anni, molto tormentati sotto ogni punto di vista, a causa della crisi, della cattiva gestione e dell’instabilità politica, ci hanno condotto a questo inizio d’anno caratterizzato dalla querelle politica elettorale che ci porterà a votare fra poco più di una settimana. L’analisi però non è confortante: la frammentazione del voto tra i vari schieramenti (di cui almeno 4 sopra il 10%) e la legge elettorale che possiamo con un eufemismo definire “tricky”, piena di trabocchetti, fa stendere un velo di incertezza e alimenta il sospetto che, alla fine, chiunque esca vincitore da questa tornata elettorale avrà vita molto breve, ammesso che riesca a formare un governo.

Tutto vero, tutto giusto, ma probabilmente vi starete chiedendo cosa c’entra tutto questo con una testata culturale. Io credo che, sia che si torni a votare e sia che si formi effettivamente un governo, la cultura deve tornare all’interno della partita del governo, in quanto essa deve rappresentare, come succede negli altri paesi europei e mondiali, un motore di sviluppo e di crescita in grado di contrastare in parte il declino che sta caratterizzando i nostri tempi. Suona quasi come una beffa che una nazione come la nostra, che ha fornito tra gli esempi più significativi, per quantità e qualità, della cultura mondiale, debba scontare negli ultimi decenni un ritardo abissale anche solo nella definizione di concetto di cultura. Difatti nelle politiche di governo il concetto di “cultura” è sempre stato associato con quello di tutela dei beni culturali (spesso considerati la quasi totalità della cultura italiana) oppure di sostegno ai prodotti artistici (film, spettacoli, ecc.) e più in generale con il singolo monumento, disco, libro, eccetera, e non come un insieme di aziende ed imprese che attraverso la loro opera generano cultura ma soprattutto generano valore economico e crescita non solo del comparto culturale, ma anche di tutto l’indotto che si genera attraverso di loro, facendosi così volano di sviluppo urbano, coesione sociale e motore di crescita del Paese. Ma il concetto di “industria culturale e creativa” è ancora lontano dalla concezione del nostro Paese, a differenza di quello che avviene negli altri stati europei, dove le rigenerazioni urbane culture-based hanno causato la fortuna di molte aree in declino (l’Estonia, la Ruhr, Liverpool, per fare degli esempi di territori a piccolo, medio e lungo raggio); non per niente la cultura rappresenta il 3% del PIL europeo, a cui però aggiungiamo un 3% dato dalla moda e un 3% dato dai prodotti di alta gomma, in cui la cultura e la creatività giocano un ruolo fondamentale, e se ci aggiungiamo anche il turismo ecco che notiamo come tutto l’indotto culturale e creativo europeo supera il 10% del PIL del continente. Insomma, non si sta parlando di piccoli numeri, ma dell’occasione per l’Europa di poter uscire dalla crisi facendo quello per cui siamo più bravi, ovverosia innovare attraverso la cultura e la creatività, non potendo competere per ovvie ragioni con paesi come India e Cina nei settori produttivi di grandi quantità.

Il tema è spinoso ma allo stesso tempo importante, e per questo meritevole di essere inserito nei temi caldi di questa tornata elettorale; a tal proposito, e al fine di sviluppare una maggiore consapevolezza del voto, abbiamo chiesto a tutti gli schieramenti in campo di esprimerci il loro parere relativo ai temi da noi considerati d’importanza rilevante per la cultura. Le domande sono:

  • Qual è la vision del partito in merito al concetto di “cultura”, visto non come il singolo prodotto artistico (il film, il disco, lo spettacolo, il monumento) ma come un complesso di aziende e reti operanti a titolo maggiore o minore nei campi della cultura e della creatività con l’obiettivo di sviluppare la propria azienda e i propri prodotti, e conseguentemente in grado di generare crescita del territorio?
  • Quali sono le azioni da compiere al fine di migliore la produttività e l’efficienza dei nostri beni culturali, attualmente sotto la media dell’Unione Europea?
  • Uno dei grandi problemi delle industrie culturali e creative è quello del difficile accesso al credito da parte degli istituti finanziari, solitamente non in possesso degli strumenti per valutare in maniera corretta i patrimoni immateriali di queste aziende. Come pensate di risolvere questo problema?
  • In Italia manca una formazione professionale specifica relativa alla gestione della cultura, in quanto i pochi casi già esistenti o si appoggiano ad una formazione più economica o ad una formazione più umanistica, tralasciando maggiormente l’uno o l’altro aspetto a seconda dei casi. Come pensate di risolvere questo problema?
  • C’è molta difficoltà da parte delle industrie culturali e creative di esportare i loro prodotti, per l’incapacità di queste di riuscire ad intercettare mercati esteri anche e soprattutto a causa della frammentazione linguistica che caratterizza i paesi europei prima ancora che extraeuropei. Come fare per risolvere questa questione?
  • Solitamente le politiche culturali negli ultimi anni sono state attuate per compartimenti stagni (editoria, discografia, cinematografia, ecc.); il mercato degli ultimi anni però sta vedendo una sempre maggiore commistione tra settori ed attività imprenditoriali diversi (si pensi al rapporto sempre più stringente tra videogioco e cinema, o tra design e prodotti d’alta gamma). In che modo si possono aprire le politiche in modo da intercettare maggiormente queste nuove domande del mercato?

 

La deadline è mercoledì 20, quando saranno pubblicate le risposte arrivateci dalle varie fazioni politiche, sperando di ricevere da tutti risposte non vaghe, in modo da portare per una volta il confronto sui contenuti dei programmi e non sullo screditare il lavoro altrui per non mostrare la vacuità del proprio. Perché alla fine chi ci rimette è l’Italia, e ormai non ce lo possiamo più permettere.



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