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Jacques-Henri Lartigue. Il tempo ritrovato @ Palazzo Bagatti-Valsecchi – Milano (MA)

Carmen Navarra

Nel cuore del Quadrilatero della Moda – una traversa di Via Montenapoleone – sorge una perla preziosa del Rinascimento milanese, Palazzo Bagatti Valsecchi. Insieme ad altri edifici altrettanto ingiustamente ignorati (Palazzo Poldi Pezzoli, Villa Necchi Campiglio e Palazzo Boschi Di Stefano), Palazzo Bagatti Valsecchi è diventato oggi sede di un museo che ospita eventi culturali di diversa natura, come concerti jazz e di musica classica e mostre fotografiche. Proprio parlando di quest’ultime, fino al 26 novembre si è tenuta una mostra dedicata al fotografo Jacques-Henri Lartigue, dal titolo Il tempo ritrovato.

Quel che colpisce all’occhio a primo acchito è l’accostamento tra la fotografia francese del primo Novecento e il contesto rinascimentale in cui viene calata; salendo l’antico e regale scalone, infatti, si entra nelle stanze della casa, tutte imprescindibilmente caratterizzate da uno stile sfarzoso ma non pesante (soffitti cassettonati, camini, pianoforti, tendaggi, specchiere). In ognuna di esse, sono appesi gli scatti del succitato Lartigue. L’artista è approdato al successo relativamente tardi: determinante è stata una sua mostra tenutasi al MoMa di New York nel 1963, dopo la quale racconta al pubblico che lo ha consacrato un artista indiscusso del XX secolo: “fin da bambino soffrivo di una specie di malattia: tutte le cose che mi colpivano e mi stupivano, a un certo punto sparivano, come se la mia memoria non riuscisse a conservarle”. Questo “disturbo” sprona l’artista ad immortalare momenti irripetibili della propria esistenza fin dalla più tenera età, ragione per la quale la sua arte fotografica risulta intimista e fortemente autobiografica, lontana dalle vicende politiche che hanno attraversato e dilaniato il Novecento.

Infatti nella mostra, curata da Angela Madesani, emerge la visione leggiadra che Lartigue ha della (sua) vita: riassunta in trentatré scatti, essa presenta come temi predominanti la sensualità femminile e la borghesia parigina, votata al lusso e alla felicità a tutti i costi (le vacanze lungo la costa del Sud della Francia, le auto eleganti, la mondanità ostentata). In tal senso risultano particolarmente interessanti gli scatti fatti alle donne da lui amate (Renée, Bibi, Florette) dove spicca una predilezione per il bianco e nero e la cura formale per il dettaglio estetico: in Solange David (Parigi, 1929), per esempio, viene ritratta una donna che, con lo sguardo basso e le labbra vistosamente tinte, poggia le dita della mano su una sfera metallica che riflette lo scenario antistante e Lartigue stesso, colto nell’atto di fotografare il soggetto. Più inconsapevole è la femminilità di Renée Perle nello scatto omonimo: la giovane, procace e bellissima, è colta in un sorriso spontaneo che le conferisce un’aura di dolcezza. La bellezza, declinata in tutte le sue forme, trova nella serie dedicata a sua moglie Bibi degli spunti mirabilissimi: Bibi ed io nello specchio durante il nostro viaggio di nozze (Hotel des Alpes Chamonix, gennaio 1920) ritrae la donna che guarda nell’obiettivo con sensuale innocenza durante il bagno in vasca; Bibi al ristorante dell’Eden Roc (Cap  d’Antibes, maggio 1920) è uno scatto che richiama la malinconia dell’arte di Hopper, poiché la donna, elegante nel suo cappello, è colta in lontananza e di sguincio.
Altrettanto lodevoli (anche se in numero minore) sono le foto a colori: si passa dalla gioia e dalla luminosità emanate da Florette (Florette, Piozzo, 1960) alla spensieratezza similgodardiana di due giovani innamorati distesi sulle pietre (Dieppe, 1962).

Anche se meno noto di altri artisti a lui coevi, Lartigue può essere oggi considerato il “fotografo della felicità” per la capacità straordinaria di cogliere la leggerezza e l’incanto della vita.



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