Arti Performative Focus

#ISEEYOU: il training e la danza contro le discriminazioni di genere

Carmen Navarra

Il nostro incontro con la DanceHaus Susanna Beltrami di Milano e la danzatrice Lidia Carew, fondatrice del progetto contro le discriminazioni di genere #ISEEYOU e dell’associazione no profit “Lidia dice” (2016) avviene non in un venerdì pomeriggio qualunque, ma nel giorno della Festa della Donna. Un’occasione che abbiamo colto per raccontare – da donne e amanti di qualsivoglia forma d’arte – l’importanza dell’acquisizione della consapevolezza di se stesse. Di fatto questo è stato lo scopo del workshop promosso da Lidia e dal suo team (le coach Macia Del Prete, Caterina Rago, Cecilia Marta e l’attrice Federica Fracassi) della durata di tre settimane, per un totale di novanta ore, il cui esito è stato presentato al pubblico sotto forma di una coinvolgente performance di danza la sera dell’8 marzo presso la DanceHaus Susanna Beltrami.

Lidia Carew

Si sono appena concluse le prove generali dello spettacolo – che vedono coinvolte 15 ragazze di età oscillante tra gli 11 e i 22 anni  – quando iniziamo a chiacchierare con Lidia. Cordiale e grintosa, mostra una presenza scenica finanche “dietro le quinte”. Chiederle perché ritiene che la danza sia uno strumento che, più di altri, corrobora ed alimenta la propria autostima, ci è sembrato d’obbligo: «la danza è movimento e quest’ultimo è insito in ciascuno di noi, quindi non esiste mezzo più naturale per potersi esprimere». Infatti, essendo consapevole dei propri movimenti, una danzatrice non “cede” al proprio corpo, ma attraverso di esso mantiene l’equilibrio del proprio “io”, sviluppa un meccanismo di autodifesa e smette di farsi condizionare dall’esterno. Il lavoro sul proprio corpo, inoltre, non può prescindere da quello mentale: le 15 performer hanno affrontato quest’esperienza anche con l’aiuto della psicologa Elisa Vianello che ha saputo coglierne le più profonde fragilità attraverso la messa in atto di alcuni “esercizi” , dal più semplice “diario” sul quale le ragazze venivano invitate a dare sfogo alla propria emotività al più motivazionale #IamRemarkable (svoltosi nella sede di Google Italia) finalizzato a raccontare le proprie abilità. In una società che ci spinge a standard sempre più elevati (e inarrivabili), quest’ultima forma di lavoro ha dato ulteriore concretezza al progetto poiché, secondo Lidia, chi è conscia delle proprie qualità (che nascono persino dalle fragilità), può finalmente «attaccare piuttosto che subire». In virtù del fatto che ogni ragazza abbia una propria identità e conseguentemente sia dotata di esclusività, Lidia precisa che nella scelta delle performer ha influito «lo stereotipo» – la bionda, la alta, la mora, la lentigginosa – non per dare vita ad una forma di omologazione, bensì per sottolineare la bellezza della diversità. Infatti l’associazione “Lidia dice” si basa sulla volontà di dare spazio al cosiddetto “cigno nero”, espressione nata con il poeta latino Giovenale che definiva rara avis, appunto, quella creatura rara e dotata di qualità preziose e insospettabili.

Backstage. Foto di Matteo Melli

Le parole di Lidia, che punta ad una seconda edizione di #ISEEYOU, si riverberano sulla breve ma intensa performance delle ragazze: la loro danza, sulle musiche realizzate da Rodrigo D’Erasmo (violinista degli Afterhours), procede come in progressione: dapprima in modo fluttuante e delicato (le performer appaiono agli occhi dello spettatore ancora acerbe ed insicure), poi in modo più convulso, complice anche il tamburellante “suono” di mani e piedi che simula, appunto, l’avvenuta presa di coscienza delle proprie potenzialità. Questa scarica di energia, resa ancora più completa dalla sincronia dei movimenti, è il frutto di una forza interiore finalmente esplosa.



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