È uscito oggi su tutte le piattaforme il primo podcast di Simone Pacini Fatti di teatro – la storia del teatro come non te l’ha mai raccontata nessuno, prodotto da Clacson Media. Otto puntate della durata dai 10 ai 15 minuti per raccontare alcuni “fatti” della storia del teatro avvenuti nel periodo compreso tra la nascita della Commedia dell’Arte e il Novecento. Ne abbiamo parlato proprio con l’autore, che da 15 anni promuove, comunica e racconta il teatro sia attraverso il suo progetto Fattiditeatro sia con percorsi di formazione sui social network.
Da blogger a podcaster: cosa ti ha spinto a cimentarti con questo nuovo medium?
Mi sono lanciato in questa avventura per vari motivi: il primo è che sono un ascoltatore di podcast, il secondo è che da sempre amo cambiare. Dopo essermi iscritto a Facebook nel 2007, a Twitter nel 2009 e a Instagram nel 2010, e dopo aver provato un po’ tutti i social network, mi sono detto che avrei dovuto esplorare quest’altro mondo che pur essendo un po’ diverso dai social ha sempre avuto a che fare con l’ambiente digitale. Il podcast è qualcosa di più complesso e anche di più duraturo: quindi, un altro dei motivi per cui, forse, mi sono cimentato è perché il podcast con la sua lentezza, con la sua dimensione sonora, rappresenta un contraltare a questo isterismo social che sta un po’ degenerando. I social network non sono più piacevoli come qualche anno fa, ce ne siamo accorti tutti. Siamo vittime dell’algoritmo e passiamo le ore a scrollare per riuscire a vedere pochissimi post dei nostri contatti, mentre vediamo un sacco di contenuti sponsorizzati e brandizzati. In pratica, invece di passare il tempo a intasare le caselle di messaggi vocali agli amici ho preferito scrivere un podcast. Se ci pensi, i messaggi vocali hanno molto a che fare con i podcast.
Il teatro viene considerato da molti un’arte di nicchia. Sei d’accordo? Possiamo considerare anche il podcast uno strumento di nicchia?
Il teatro è una nicchia perché rispetto a settanta anni fa ci sono molte più occasioni di intrattenimento serale: il cinema, le serie televisive, i videogame, gli smartphone, le piattaforme… tutte cose molto diverse che però sono andate in competizione con il teatro. Anche il podcast è una nicchia, eppure ci sono dei segnali interessanti. Alcuni dati della IPSOS Digital Audio Survey 2023, usciti pochi giorni fa, parlano di 11,9 milioni di italiani (ovvero il 39%) che ascoltano podcast. Parliamo di un +3% rispetto al 2022. Il 22% ha aumentato l’ascolto rispetto al 2022, ma la cosa più interessante è l‘engagement: il 57% degli utenti ascolta l’intera durata, una percentuale altissima rispetto ai social network (lo vedo personalmente con le statistiche dei contenuti sui social che faccio, le percentuali sono molto più basse); il 78% ascolta le serie, il 43% le ascolta per intero. Il pubblico dei podcaster è molto fidelizzato e soprattutto si tratta di una nicchia molto particolare: non è un caso che nel mondo del podcasting ci siano da un lato tutte le grandi aziende di comunicazione (dal gruppo editoriale Gedi al Sole24Ore, al Post, tutti fanno podcast), dall’altro lato, anche i brand ci stanno investendo, perché fare un podcast ha delle spese inferiori alla realizzazione di un film o di un documentario.
Perché una serie di podcast sul teatro? Quali sono le tue aspettative sulla fruizione?
Facendo una ricerca ho trovato molto poco. Tantissimi i contenuti su Rai Play Sound, l’app di RadioRai, ma si tratta di contenuti esclusivi per quella piattaforma, cosa che rappresenta una barriera per molti ascoltatori, perché sicuramente Rai Play Sound non ha gli stessi ascolti di Spotify. Su Spotify, invece, ho trovato o progetti molto specifici, quindi podcast magari attorno a uno spettacolo o a un progetto (belli, ma davvero destinati a una cerchia ristretta di persone), oppure vere e proprie lezioni di storia del teatro, il ché va benissimo, ma un podcast realizzato dal Prof. Bosisio io me lo ascolterei se dovessi dare un esame di storia del teatro. Vorrei che il mio podcast venisse invece ascoltato come un qualunque altro podcast, mentre sei in metropolitana per andare al lavoro oppure la domenica mentre stai cucinando. Questo è il primo motivo. Dopodiché, ho fatto un corso alla scuola Genius di Roma, mi sono iscritto ad ASSIPOD – Associazione Italiana Podcaster, e a uno degli incontri organizzati da ASSIPOD ho conosciuto Daniela Zeziola di Clacson Media. Parlando con lei ci è venuto in mente l’idea di fare un podcast sulla storia del teatro, ma partendo dai “fatti” di teatro (anche un po’ utilizzando il mio brand); per dire, il primo episodio, che è su Pirandello, non vuole fare la storia di Pirandello in 12 minuti, ma parte da un fatto specifico, i fischi alla prima dei Sei personaggi in cerca d’autore al Teatro Valle di Roma, e da lì racconta delle cose legate al teatro, a Pirandello e a tutto ciò che ne deriva. Spero che diventi un contenuto non per addetti ai lavori; anzi, son quasi certo che molti addetti ai lavori storceranno il naso. Perché noi dell’ambiente teatrale viviamo in un mondo “super-accademico”, per dire che se fai un podcast su Luigi Pirandello devi aver conseguito almeno tre dottorati su Pirandello. Io invece ho preso dei libri, me li sono letti, li ho frullati, ci ho messo del mio, e un po’ ho anche inventato. Ho cercato di confezionare un contenuto adatto ai podcast, quindi un contenuto avvincente, non pesante, che descriva e ti immerga in un fatto di teatro.
Sei anche un esperto di social media. La dimensione sonora è stata al centro di Clubhouse. Che fine ha fatto? Come mai non ha preso il sopravvento, secondo te?
Clubhouse è stato divertente, mi è servito. Sono arrivato a fare questo podcast anche grazie alla mia frequentazione, che è stata di pochi mesi, di questo social network. Per me è un rimpianto perché era bello, doveva costringerti ad ascoltare. Viviamo in un’era in cui tutti producono contenuti ma nessuno ascolta, nessuno si mette in modalità passiva, questo anche nella vita, non solo nei social, e nessuno dei nuovi social – uno è Clubhouse, ma ce ne sono anche altri – sta emergendo, forse proprio perché ha vinto la modalità TikTok: ovvero il fatto che tu, utente, guardi i contenuti dei creator e dei brand. Non esiste più quella idea di comunità che c’era all’inizio, anche con Facebook, e che in un certo senso ha fatto anche la mia fortuna. Adesso su TikTok possiamo stare un’ora a scrollare – e calcola che Facebook, Instagram e ora anche Youtube, stanno diventando come TikTok – e non vediamo nemmeno un contenuto di persone che conosciamo. Non c’è più l’idea di community, ma c’è solo l’idea di marketing, di vendita di contenuto: questo è il dramma attuale in materia di social. Per questo mi piace il podcast: è l’unico contenuto davvero libero. Da vent’anni, cioè da quando esistono i podcast, sono gli unici contenuti basati sul famoso RSS: tu li crei e decidi dove metterli. Se io realizzo un contenuto per Instagram quel contenuto diventa di Instagram, mentre il podcast è mio e decido io dove metterlo. Lo trovo un concetto interessante.
Quali sono le caratteristiche di un podcast avvincente, dal tuo punto di vista? C’è qualche autore a cui ti sei ispirato, o a cui sei in qualche modo affezionato?
Un podcast avvincente deve semplicemente far sì che l’ascoltatore dopo un minuto continui ad ascoltare (un conto è se siamo costretti per lavoro, per studio, eccetera, a farlo). Vorrei che chi incrociasse il mio podcast dopo un minuto lo continuasse ad ascoltare. Per questo deve avere un buon corredo sonoro, un linguaggio chiaro, una voce bella. Tutti mi dicono che ho una bella voce, anche se ho un accento toscano che cerco di limitare ma che comunque ho (se ci pensi, quasi nessun podcast di successo è realizzato da attori). Deve saper raccontare, far vedere. Bisogna tenere conto che il podcast è molto diretto nel rapporto, perché chi ti ascolta è in cuffia o è quasi sempre da solo. Si deve cercare di stabilire un meccanismo: devi far sì che l’ascoltatore si innamori della tua voce e del tuo modo di parlare. Devi far vedere con le parole i luoghi, le atmosfere, il clima, il meteo. Devi riuscire a far sentire i rumori, i sapori, gli odori. Ecco, questo è il podcast. E non ce ne sono nemmeno tanti che riescono in questo.
Per andare agli autori a cui mi sono ispirato, il primo podcast che ho ascoltato, anche con assiduità, è stato Hacking Creativity
, un podcast a due voci, una sorta di trasmissione radiofonica (molti podcast, infatti, sono simili alla radio). Ci sono due personaggi che parlano di creatività a trecentosessanta gradi e di come hackerarla. Poi però mi sono appassionato molto a quello che è il genere attualmente più in voga dei podcast, ovvero il true crime. Ne ho ascoltati tantissimi. Fra quelli che posso citare sicuramente c’è Indagini
di Stefano Nazzi. Mi è piaciuto molto anche Io ero il milanese d
i Mauro Pescio, che è anche un attore teatrale. Ultimamente in veste di autori gli attori teatrali arrivano nei podcast. Ed è interessante. Una cosa che non ho detto è che c’è tutto il mondo del radiodramma, che è un altro mondo rispetto al podcast e che comunque si inserisce nella storia del rapporto fra audio e teatro. Tra gli altri podcast da citare, sicuramente ci sono Morgana d
i Michela Murgia e Chiara Tagliaferri e il podcast narrato da Claudio Morici e scritto da Christian Raimo sulla morte di Willy Monteiro Duarte. Ho provato a condensare i lati belli di questi podcast di cui quasi nessuno ha a che fare con il teatro. Ho cercato di raccontare i fischi alla prima dei Sei personaggi in cerca di autore
di Luigi Pirandello come se fosse un episodio di cronaca nera. Ascoltatemi quindi, se vi va e, soprattutto, fatemi sapere cosa ne pensate perché sto ancora scrivendo. Finora ne ho scritti tre, e in tutto ne saranno otto. Dopo il primo (14 ottobre, accessibile al link), il prossimo, in uscita il 21 ottobre, sarà sulla nascita del Piccolo Teatro di Milano e l’incontro fra Paolo Grassi e Giorgio Strehler alla fermata del tram, mentre le successive puntate saranno bisettimanali.