Musica

Intervista a Luciano Maggiore e Francesco “Fuzz” Brasini

Emanuele Siano

Presentiamo un’intervista a Luciano Maggiore e Francesco Brasini, musicisti bolognesi che hanno recentemente pubblicato per Boring Machines il loro nuovo lavoro, How To Increase The Light In The Ear.

Dalla recensione di How to Increase Light in the Ear (Boring Machines – 2012) di Luciano Maggiore e Francesco “Fuzz” Brasini nasce l’interesse di approfondire il loro universo artistico ma, soprattutto, questo affascinante genere di musica altamente sperimentale e originale. Lo facciamo proprio insieme ai due artisti bolognesi con questa intervista ricca di spunti e di riflessioni:

Come nasce la vostra collaborazione artistica? Ma soprattutto, qual è il processo che vi permette di creare questo genere di tracce insieme?

F. B.: La nostra collaborazione è nata dalla frequentazione di spazi come Raum e Sant’Andrea degli amplificatori a Bologna, luoghi dedicati alla musica di ricerca, al teatro e alla performance. Spesso ci siamo trovati a discutere sul suono prima che sugli strumenti e su come esso possa essere utilizzato come veicolo per creare fenomeni illusori e nuove dimensioni spaziali in ascolto. Ci interessano, soprattutto, le frequenze pure, l’emissione dislocata del suono durante l’ascolto e i fenomeni psicoacustici generati all’interno degli spazi performativi. Da una delle prime session di prove eseguita all’interno di una vecchia officina è nato il nostro primo lavoro uscito per Boring Machines: Chàsm Achanés.

L. M.: Il processo che utilizziamo è molto semplice: si discute tantissimo sul tipo di suono e strutture che ci interessa utilizzare ed in seguito si suona tanto per verificare se l’idea di base è corretta o meno e alla fine si ascoltano le registrazioni fatte e si cerca di osservare quali vie possono essere interessanti.

Che genere di strumenti usate nelle due tracce di How to Increase Light in the Ear?

F. B.: Per queste tracce ho utilizzato come fonte sonora due chitarre elettriche solid body che ho costruito personalmente qualche tempo fa. Al loro interno, scavando il legno, ho ricavato delle camere tonali che mettono in risalto diverse armoniche generate dalla somma del suono filtrato dai pick ups e dagli speakers di amplificatori valvolari o del P.A. stesso. Questa caratteristica genera un suono di base dominante che a tratti si arricchisce di sfumature molto particolari a seconda del volume in uscita e delle caratteristiche dell’ambiente circostante (pareti riflettenti, arredi e oggetti presenti nello spazio). Le chitarre sono collegate in stereo all’interno di un Roland “Space Echo”, un Eventide Harmonizer (per i pitch a bassa frequenza e per i suoni polifonici) e, infine, per il droning utilizzo due archetti elettronici, gli E-Bow.

L. M.: Per entrambe le tracce ho usato un revox B77 MKII per processare dei field recording e varie onde semplici ottenute utilizzando Upic .

Nelle vostre carriere artistiche chi vi ha influenzato maggiormente? C’è qualcuno in particolare che vi ha ispirato nell’approccio a questo genere?

F. B.: Sono stati i primi ascolti di alcuni lavori sonori minimalisti degli anni 60 come i “drift studies”di La Monte Young, “Adnos I-III” e “Trilogie de la Mort” di Eliane Radigue ed i “c-tune” di Henry Flynt  a creare in me l’interesse per il suono continuo. Di seguito, ma non per importanza, Velvet Underground, Tony Conrad, Eleh, e tanti altri artisti del panorama musicale contemporaneo.

L. M.: Ci sono una serie d’incontri fatti negli anni che per qualche ragione lasciano un segno anche involontario, mi è successo guardando quadri come sentendo dischi. Un campo che almeno agli inizi mi ha davvero inspirato tanto è stata la pittura, in particolare l’Informale americana, i quadri di Mark Rothko o il minimalismo di Donald Judd e ancora l’impressionismo francese: Monet, Degas, o andando più indietro nel tempo i piccoli quadri di Hercules Seghers, ho cercato di prendere tanto da alcuni procedimenti legati all’uso del colore come degli strati o delle formule compositive.

Per chi non è un esperto o un appassionato ma semplicemente curioso di  conoscere questo genere, cosa consigliate di fare per godersi pienamente il vostro disco?

F. B.: Predisporsi e, semplicemente, aprirsi all’ascolto; non farsi intimorire dal suono e dalle sue caratteristiche fisiche, anche se possono sembrare estreme al primo impatto. A mio avviso ogni supporto per la fruizione di questo lavoro è utilizzabile, ma personalmente preferisco ascoltarlo attraverso le casse dello stereo a un volume contenuto.

L. M.: Mettersi comodi magari in poltrona ed a luci spente, davanti ad un buon impianto stereo, non esagerare con i volumi e lasciare che il disco vada: prendendo la cosa più come un’esperienza a se stante piuttosto che come la fruizione di musica a cui magari si è abituati. Penso che tutto il problema che sta dietro al disagio che provano i neofiti nei confronti di questo tipo di ascolti sia proprio la necessità di definire quello che si sta ascoltando, il tentativo di collocarlo entro un ventaglio di possibilità già conosciute: distratti da questa aspettativa negata finisce che l’ascolto diviene difficile o addirittura faticoso. 



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