Intervista a Francesco Pantaleone
Gallerista, consulente nel comitato scientifico di ZAC e direttore artistico della Bad New Business Gallery di Milano, Francesco Pantaleone è uno dei nomi più noti del circuito dell’arte a Palermo.
Gallerista, consulente nel comitato scientifico di ZAC e direttore artistico della Bad New Business Gallery di Milano, Francesco Pantaleone è uno dei nomi più noti del circuito dell’arte a Palermo. Lo abbiamo incontrato a Palazzo Di Napoli, nel cuore della città, dove a marzo aprirà un nuovo spazio espositivo.
1) Lei ha studiato all’accademia di belle arti di Urbino e poi si è trasferito a New York. Quando ha deciso di diventare un gallerista?
La mia esperienza di studio a Urbino è stata bellissima. Facevo parte di quel gruppo di giovani artisti che da Palermo si erano trasferiti nella cittadina rinascimentale per frequentare l’Accademia di Belle Arti (tra gli altri Alessandro Bazan, Andrea Di Marco e Fulvio Di Piazza, di qualche anno più grandi di me). Poi mi sono trasferito a Roma per tre anni, dove sono stato ufficiale dei carabinieri a cavallo, un’esperienza molto formativa, incredibilmente diversa da quella che ci si può aspettare. Oltre a partecipare ai caroselli a piazza di Siena, ho avuto la fortuna di frequentare molti artisti che vivevano a Roma e continuare quindi la mia esperienza nel campo dell’arte, iniziata già molti anni prima della frequentazione dell’Accademia di Urbino perché mia madre, che era tedesca, ha sempre avuto grande attenzione e amore per l’arte e me le ha trasmesse sin da quando ero bambino. A Roma frequentavo artisti come Luigi Ontani, Enzo Cucchi e cercavo di conoscere anche gli artisti di passaggio. Lì è stato fondamentale l’incontro con Carlo Bilotti, un collezionista che viveva tra Palm Beach e Roma. Lui mi accolse con molto affetto e mi scelse come referente quando venivano a Roma suoi amici e conoscenti legati al mondo dell’arte. Così ebbi la fortuna di incontrare Joel Shapiro, Lisa De Kooning e altri personaggi che mi portarono nel 1999 da Gagosian a New York. Questa città era nel mio cuore da sempre perché amo moltissimo Andy Warhol (nella mia biblioteca ci sono circa 1200 libri su di lui) e quando arrivai pensai di rivolgermi a gallerie come Ileana Sonnabend. Ma New York è velocissima e presto mi resi conto che non erano più queste le gallerie “giuste”, così Carlo Bilotti mi consigliò di andare da Gagosian (che alla fine degli anni ’90 stava già diventando il colosso che è oggi) e mi presentò al direttore della galleria. Iniziò in questo modo la mia esperienza lavorativa lì e quello fu il momento in cui capii che la mia formazione d’artista si poteva rimodulare e sarei potuto diventare un gallerista. Tornando a Palermo qualche anno dopo decisi quindi di aprire uno spazio per incontrare di nuovo gli artisti che amavo ma anche per rivivere l’esperienza della nascita di una mostra, di un’opera d’arte e dell’incontro della mia città con l’arte contemporanea che, a parte poche eccezioni, era rimasta ai margini della vita artistica palermitana. Iniziai questo lavoro con Pamela Erbetta, la mia socia di allora, e Francesco Giordano che è tuttora il mio socio.
2) La galleria Pantaleone nasce nel 2005 alla Vucciria. Un quartiere difficile ma di grande fonte di attrazione per gli artisti. Perché la Vucciria? E qual è stata la reazione della città a questo nuovo spazio?
La Vucciria è ancora oggi un luogo di grande energia anche se è molto cambiato rispetto a qualche anno fa. Nel 2005 si presentò l’opportunità di quello spazio magnifico che è Palazzo Rammacca, e io cercavo proprio un luogo che fosse una vera alternativa a New York ma anche agli spazi tradizionali dove sorgono le gallerie d’arte a Palermo, cioè i quartieri borghesi da cui io stesso provengo. La Vucciria è un luogo di contrasti e pensavo che anche gli artisti avrebbero amato di più soggiornare e confrontarsi con quei luoghi. È rimasta memorabile la performance Circus che Marcello Maloberti fece nel 2008 nella piazza Garraffello, parte di un progetto che l’artista portava da anni in varie città, e che ebbe una reazione entusiasta del pubblico. Ricordo anche il bellissimo Red Carpet di Gian Domenico Sozzi e i lavori di tanti altri artisti che rimasero profondamente colpiti dall’energia di quel luogo.
3) Da aprile 2012 inizia la collaborazione con lo spazio Bad New Business Gallery di Milano, di cui è direttore artistico, per un programma quadriennale di mostre ed eventi. Qual è la differenza maggiore tra il mercato dell’arte milanese e quello palermitano?
Bad New Business Gallery è un nome nato un po’ per gioco con Stefano Arienti. La sede della galleria è in un ufficio di comunicazione medica che si chiama New Business Promotion e l’idea era di chiamare la galleria Brera Art and Design, perché si trova proprio nel cuore del quartiere Brera. Quando sono stato invitato dai proprietari di questo spazio è nato il progetto di una collaborazione quadriennale per curare questo spazio “off” della galleria, e così è venuta l’idea di cambiare il nome in Bad New Business (un “cattivo nuovo affare”) che ironicamente ricorda che aprire una galleria di questi tempi è proprio un cattivo nuovo affare. Però l’arte è una forza straordinaria che va certamente al di là degli affari ed era bello provare quest’ottima opportunità per portare a Milano gli artisti che noi rappresentiamo. Milano la città più importante per il contemporaneo in Italia, che conserva ancora una grande tradizione di una borghesia illuminata che ha saputo collezionare con gusto, raffinatezza e discrezione. La storia del collezionismo d’arte in Sicilia è molto diversa perché il collezionismo di arte contemporanea qui è molto più recente. Ci sono state grandi e straordinarie collezioni nei palazzi nobiliari, ma successivamente la borghesia non si è sviluppata come al nord e non si è formato quello spirito borghese che in altri contesti ha segnato anche la nascita della passione per l’arte contemporanea, che è “pensiero” e ci chiede di guardare con attenzione e capire l’opera e quindi il nostro tempo, e questo qualche volta è difficile.
4) Recentemente è stato nominato consulente nel comitato scientifico di ZAC (Zisa Zona Arte Contemporanea) ai Cantieri Culturali alla Zisa. Uno spazio con una storia complessa, prima simbolo di rinascita della città, poi di abbandono e più recentemente di un’esperienza di autogestione. Come interpreta la storia dei Cantieri? E quali sono i progetti per questo nuovo museo?
La storia dei cantieri è paradigmatica del rapporto tra politica e cultura in Sicilia. È un rapporto doloroso e spesso difficile. Non voglio citare la recente esperienza di Riso, Museo d’Arte Contemporanea della Sicilia, campo di battaglia e merce di scambio tra l’ex Governatore della Sicilia Lombardo e l’on Gianfranco Miccichè. Ad oggi Riso non ha né una programmazione né una direzione chiara e questo ci fa soffrire molto. I Cantieri Culturali alla Zisa sono stati una grandissima intuizione di Leoluca Orlando, un sindaco illuminato che ha portato la città in primo piano (mentre abitavo a New York, parlando con Anselm Kiefer ho scoperto che anche lui conosceva i Cantieri). Quando questo spazio fu aperto ci fu un grande sforzo dell’amministrazione comunale per far rinascere un luogo di eccellenza che rappresentava la borghesia siciliana all’epoca dei Florio perché sede dei laboratori Ducrot dei mobili Liberty progettati da Ernesto Basile. Orlando aveva intuito le potenzialità di questo luogo di archeologia industriale che poteva diventare uno spazio culturale come è avvenuto in molte città europee. Poi l’amministrazione Cammarata ha abbandonato i Cantieri perché rappresentavano l’amministrazione precedente e chi ne ha fatto le spese è la cittadinanza che si è vista privata di qualcosa sulla quale si era già investito e lavorato molto. Con il ritorno di Orlando c’è stata una grande volontà di riprendere il lavoro fatto in passato e recuperare il possibile con grande responsabilità.
Il comitato di cui faccio parte è composto da undici persone tra cui Antonella Purpura (Direttore della GAM) che ne è a capo, Paolo Falcone, Daniela Bigi, Gianna di Piazza, Sergio Troisi, Luciana Giunta, Eva di Stefano, Alessandro Rais, Alessandro Bazan, Francesco De Grandi ed Emilia Valenza. Insieme stiamo lavorando, a titolo gratuito, su questo spazio enorme, difficile e in una situazione di dissesto finanziario. Per fare arte servono soldi: produrre un’opera o far venire un artista che lavori con noi ha dei costi, e così abbiamo cercato di trovare delle soluzioni a questa mancanza di fondi. Abbiamo convocato un cospicuo gruppo di artisti, circa 60 giovani che avessero voglia di mettersi in gioco e costruire una grande opera collettiva, seguiti da due artisti di grande esperienza come Alessandro Bazan e Francesco De Grandi, che hanno lasciato lo studio e i colori e si sono messi al lavoro su quest’esperienza con grande generosità.
5 ) A Palermo sta per aprire un nuovo spazio nel cuore della città, a Palazzo Di Napoli. Ci parla di questa nuova avventura?
La Vucciria è stato il luogo in cui è partito tutto in modo anche un po’ inconsapevole. Il trasferimento a Palazzo Di Napoli segna il passaggio alla maturità in cui la galleria definisce meglio la sua identità. Alla Vucciria avevamo quella che si può definire una “home gallery” perché abitavamo nello stesso appartamento in cui avevamo aperto la galleria e questo creava un flusso continuo tra i due spazi. I collezionisti e gli amici venivano a qualunque ora per un bicchiere di vino e per vedere la mostra e questo era molto bello, ma c’erano anche dei limiti. La nuova galleria è un luogo più aperto alla città perché situato ai Quattro Canti, nel cuore della Palermo antica ed è più facile da raggiungere. Questo spazio ci dà nuove possibilità che nella vecchia galleria non avevamo. Per esempio mettere a disposizione della città la mia biblioteca che consta di più di 3.400 volumi, principalmente di arte contemporanea ma anche con un cospicuo nucleo sulla Sicilia. Questa biblioteca è formata da tre nuclei fondamentali: la mia biblioteca personale, la biblioteca di mio nonno Francesco Pantaleone, che era uno studioso della Sicilia, e infine il gruppo di libri donati da Aleksandra Mir che ha vissuto 5 anni a Palermo e ha voluto che fossero messi a disposizione di giovani artisti, studenti e appassionati di arte contemporanea.
6) Quali sono i progetti per la nuova galleria?
Il 21 Marzo inauguriamo una mostra dell’artista messicana Julieta Aranda che presenterà un progetto inedito ispirato all’isola Ferdinandea, apparsa a largo delle coste di Sciacca nell’Ottocento e inabissatasi poco dopo. Questo territorio fu conteso tra Borboni, francesi e inglesi e il lavoro di Julieta riflette su questo paradosso politico di un’isola che non c’è ma continua a essere motivo di lite fra diverse nazioni. Dopo questa mostra (una sorta di banco di prova per questi nuovi spazi che non sono mai stati una galleria), abbiamo in programma una grande collettiva che racconti anni di lavoro e spieghi cosa abbiamo fatto fino ad ora anche a chi si avvicina a noi per la prima volta.
7) Quali sono gli artisti con cui ha lavorato nella sua carriera, che ricorda con più affetto o ammirazione?
Grazie al fatto che la vecchia galleria alla Vucciria era una “home gallery” avevamo un rapporto molto intimo con tutti gli artisti che esponevano. Quelli in residenza abitavano nel nostro stesso appartamento e dunque c’era un legame molto familiare e molto umano. È difficile ricordarne solo alcuni. Certamente penso con affetto e amicizia a Liliana Moro, ma anche Per Barclay, Manfredi Beninati, Marcello Maloberti, Sissi, Flavio Favelli, Francesco Simeti, Adalberto Abbate, Stefania Galegati Shines, Benny Chirco e Milena Muzquiz. Però non sono affezionato solo agli artisti e ho rapporti molto profondi anche con i curatori e i collezionisti. Non posso dimenticare Laura Barreca con la quale abbiamo realizzato tanti progetti, Agata Polizzi, con cui stiamo lavorando benissimo e che mi sorprende oggi giorno con la sua sensibilità e professionalità, ma anche Pietro Gaglianò e Raimundas Malasauskas che è stato nostro ospite per due mesi.