InFocus. Elio Germano allo specchio: magnifico outsider del cinema italiano
Un ritratto di Elio Germano, giovane e già da anni forte e consolidato protagonista del cinema contemporaneo italiano.
“[…] tragici o divertenti cerco sempre di fare film sinceri. Ed è questo ciò che mi guida nella scelta dei progetti a cui aderire: la sincerità e i rapporti umani”, così ha spiegato Elio Germano, in occasione del Festa del Cinema di Roma 2015, il filo rosso che da sempre lo guida nella scelta di un film. Recente protagonista al cinema in Suburra di Stefano Sollima, nei panni di un ricco spogliato, prossimo e promettente eroe romantico moderno in Alaska, Elio Germano è l’Attore, perla e punta d’orgoglio del cinema italiano.
Il bambino che sulla bicicletta cantava scanzonato “Noi siamo gli intoccabili…” in Ci hai rotto Papà (1993), è diventato oggi una stella del cinema, che non ha perso lo sguardo genuino del ragazzo di provincia. Originario di Campobasso ma pienamente romano nel porsi ed esprimersi, quando riesce a mettere da parte la timidezza fuori dal mirino della macchina da presa, Germano è uno di quegli attori anti-accademici, che la recitazione l’hanno imparata con l’esperienza e la gavetta, più che nelle stanze delle scuole. L’amore per le tavole di legno inizia si dall’infanzia, prendendo parte agli spettacoli organizzati dai villaggi turistici dove soggiornava con la famiglia e dilettandosi in scenette improvvisate con gli amici. Da diletto e passione, la recitazione si fa una scelta: durante gli anni del liceo frequenta il Teatro Azione di Isabella Del Bianco, ma la teoria gli piacerà sempre meno.
Interrompe infatti gli studi per prendere parte a Il cielo in una stanza di Carlo Vanzina, ma non si fa mancare nulla: un tentativo di iscrizione alla scuola per fumettista, una brevissima carriera universitaria a Lettere e Filosofia, e la pubblicazione di alcuni racconti riconosciuti e premiati. Amante dell’arte sì, ma è del cinema che Germano si innamora, senza disdegnare però la televisione, di cui fa furbamente il suo trampolino di lancio nei panni di Er Pasticca in Un medico in famiglia 2, fino poi a passare a Via Zanardi 33, giusto per non farsi scappare le serie al top della nostra televisione. Inclassificabile, primo attore trasformista, Elio Germano può concedersi qualsiasi ruolo giocando con i più svariati registri vocali, sa ben destreggiare diversi dialetti, e soprattutto la sua verve gli permette di passare dai toni drammatici a quelli comici in modo stupefacente. La sua presenza è già un biglietto da visita anche per il film più irrilevante: molti non lo ricorderanno, ma Germano dipinge e sintetizza in Liberi (2003), di Gianluca Maria Tavarelli, il disagio e l’adrenalina che scuotono un giovane poco fortunato e che vive nella provincia italiana alla ricerca di riscatto. Didascalico e poco memorabile il film, ma è qui che la stoffa di Elio si vede così bene da rendere memorabile il suo Vince. Ed era solo all’inizio del suo percorso, dopo l’incursione nel più ben noto Respiro (2002) di Emanuele Crialese.
Stupisce anno dopo anno proprio la sua capacità di adattamento e curiosità nel passare da film di registi in fasce a film blasonati e dai grandi nomi, e da qui inevitabile l’appellativo da antidivo che si è guadagnato nel tempo, soprattutto dopo non essere riuscito a nascondere qualche accesa polemica con la politica, ricordando a Cannes che “Siccome i nostri governanti in Italia rimproverano sempre, al cinema, di parlare male della nostra nazione, io volevo dedicare questo premio all’Italia e agli italiani, che fanno di tutto per rendere l’Italia un paese migliore nonostante la loro classe dirigente”. Era il 2010, quando ritirò per La nostra Vita (2010) di Daniele Luchetti il premio come Miglior Attore conteso ad ex aequo con Javier Bardem, e quando di strada ne aveva già ben asfaltata con film entrati nel bene e nel male nella storia del nostro cinema: liceale romanaccio in Che ne sarà di noi (2004) di Giovanni Veronesi, conosciuto come Il Sorcio in Romanzo Criminale (2005) di Michele Placido, mentre intanto si fa le ossa del cinema italiano del paradosso con Paolo Virzì in N (Io e Napoleone) e Tutta la vita davanti. Poco conosciuta ai tanti ma coraggiosa è l’interpretazione drammatica e umana che Germano regala in Nessuna qualità agli eroi (2007) di Paolo Franchi.
Una rosa di film dalle sfumature più inaspettate che ben lascia comprendere come per l’attore romano sia l’imponenza del ruolo a scegliere i suoi film: la sua interpretazione, mai manchevole di autenticità persino nei ruoli più fantasiosi come il surreale Pietro in Magnifica Presenza (2012) di Ferzan Özpetek, è un atto di comunicazione limpido verso il pubblico, una poesia di intensità emotiva che trova massimo spazio nel suo Leopardi ne Il Giovane Favoloso (2014) di Mario Martone. Conquistati i favori e le attenzioni di registi maggiori e minori del cinema italiano, è proprio quest’ultimo a consacrarlo definitivamente ad un pubblico sempre più ampio, come uno degli attori che possono farci sentire pienamente soddisfatti della nostra tradizione attorica: quella che il cinema lo faceva con il cuore e con il sudore.